La storia è più o meno sempre la stessa: vite che precipitano dalla vetta del successo ai bassifondi della depressione. Anime nate per diventare grandi e per lasciare presto, troppo presto, questo mondo.
Ieri se n’è andata Withney Houston, una delle cantanti pop più celebri al mondo. Da tempo era schiava delle droghe – marijuana, cocaina – e degli antidepressivi che mischiava all’alcol. Sembra proprio sia stato un cocktail di farmaci e whisky a farla addormentare nella vasca da bagno di un hotel di Los Angeles, per poi morire annegata, quasi senza rendersi conto che il suo viaggio su questa terra stava volgendo al termine.
Quasi immediato il pensiero va ad Amy Winehouse, scomparsa solo qualche mese fa: anche lei era prigioniera della droga.
A noi comuni mortali ogni volta fa impressione vedere queste star internazionali, che hanno tutto, che sono amate da tutti, spegnersi prematuramente, dopo aver tenuto per troppo tempo schiacciato il pulsante dell’autodistruzione. L’eroina sparata in vena da un ragazzo che nasce nella periferia di una metropoli, figlio di nessuno, senza una famiglia alle spalle, ci stupisce certamente meno, maledizione, di storie come quelle di Whitney Houston, Amy Winehouse, ma ancora Kurt Cobaine, Jim Morrison o il grande Elvis. Non possiamo comprendere cosa spinga queste persone, queste brillanti stelle internazionali, ad affogare nei propri incubi. Ma forse dovremmo riflettere di più sul cosiddetto mondo dorato delle celebrità: le conosciamo, o ci sembra di conoscerle, dal momento in cui arrivano al successo; non sappiamo niente della loro vita precedente, della loro infanzia, delle illusioni adolescenziali tradite, della cultura famigliare, dell’ambiente in cui si sono formate, insomma del pregresso. E paradossalmente la loro fragilità puo’arrivare da percorsi simili a quelli del giovane uomo che trascina la sua vita abbandonato su una panchina di periferia.
Genitori assenti, frequenza scolastica ribelle, educazione sentimentale zero. Le donne attratte da uomini violenti, gli uomini dal pericolo e dall’eccesso: nessuna spinta ideale, un enorme attaccamento al proprio ego e nessun interesse verso gli altri. Nessuna cultura della vita. La fuga dalla vita.
E’ l’infanzia a decidere, diceva Sartre: e questi divi hollyoodiani che vanno in analisi e si nutrono di antidepressivi chissà in quali recessi della psiche nascondono i loro traumi: in realtà appaiono, ma non sono. Essere o avere? La domanda è sempre la stessa.
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