Washington – Le agenzie di ratings americane rettificano il tiro sull’Italia. Secondo Moody’s, l’anno venturo l’Italia potrebbe incominciare a riprendersi, purché attui le necessarie riforme strutturali. E secondo Fitch, il governo Monti dovrebbe realizzarle in fretta perché dopo le elezioni di aprile il potere ritornerà ai partiti e riprenderanno i pateracchi politici. Non è una marcia indietro, l’Italia rimane declassata. Ma è un riconoscimento dei nostri sacrifici e dei nostri sforzi ed è un segnale positivo per il futuro. Il governo Monti sa che cosa occorre fare: tagliare gli abusi e gli sprechi delle due caste sinora risparmiate, quella della politica appunto e quella della finanza; ridurre le tasse, il cui aumento ha messo iniquamente ko i ceti medio e bassi; e rilanciare l’economia con massicci investimenti. Lo dice anche il presidente Obama, un amico dell’Italia. Le nuove valutazioni di Moody’s e di Fitch sono anche un segno che Wall Street si rende finalmente conto che se l’euro crolla e se l’Unione europea si sfalda è una tragedia anche per l’America. Sinora Wall Street ha speculato, e continua a farlo, a danno della nostra moneta unica e dei paesi europei più indebitati, tra cui il nostro. Ma adesso sta riflettendo sul da farsi, anche perché in America si sta profilando una nuova bolla dopo quella dei mutui immobiliari del 2008, la bolla delle obbligazioni dei comuni, i “municipal bonds”. La maggioranza dei comuni americani si finanzia emettendo titoli. Ma alcuni comuni hanno dichiarato bancarotta, e i loro titoli hanno perso ogni valore. Proprio la Moody’s ha annunciato che analizzerà la situazione: la maggioranza dei comuni americani, ha detto, è in serie difficoltà economiche e finanziarie. Se questa bolla scoppiasse, sarebbero grossi guai per l’America. Wall Street deve quindi evitare speculazioni, come deve evitarle in Europa. E il presidente Obama deve regolamentare i mercati americani, come deve rivedere il rapporto dollaro – euro. Perché deve rivedere questo rapporto? Perché i problemi dell’economia europea derivano dal deprezzamento del dollaro, oltre che dalla crisi dell’Ue, deprezzamento voluto dalla Federal reserve di Washington.
Negli ultimi anni, i prezzi dei prodotti europei sono saliti mentre quelli dei prodotti americani sono scesi. Risultato: l’America ha esportato di più, l’Europa ha esportato di meno. E’ una forma occulta di protezionismo a cui urge porre riparo. La recente discesa dell’euro rispetto al dollaro è una buona notizia per i produttori e gli esportatori italiani ed europei. Se la flessione continuasse, come possibile, il “Made in Italy” e il “Made in Europe” ritornerebbero competitivi sul mercato globale. Con l’inversione di tendenza, il mondo comprerebbe meno “Made in Usa”, e l’Europa e l’Italia potrebbero infine respirare. La ripresa della produzione e dell’esportazione italiana ed europea sarebbe sicuramente graduale e modesta, e non risolverebbe la crisi economica. Ma la allevierebbe. Occorre tuttavia che il governo Monti e l’Ue le incentivino al più presto. La recessione in Italia e in Europa rischia di aggravarsi come ha ammonito Christine Lagarde, la direttrice del Fondo Monetario. La crisi dei debiti sovrani irlandese, greco, portoghese, spagnolo e italiano ha fatto dimenticare al mercato globale il peso che il cambio tra euro e dollaro ha avuto sul commercio, e a valle sulla produzione e sulla esportazione europee e americane. Valutato inizialmente 1,10 dollari, poi 0,84 centesimi di dollari, infine, a più riprese, 1,45 – 1,50 dollari, l’euro ha dapprima aiutato ma più tardi danneggiato il “Made in Italy” e il “Made in Europe”, rendendoli troppo costosi. Che cosa ha provocato oscillazioni di cambio così forti? In parte la cangiante congiuntura, ma in parte la politica monetaria e creditizia della Banca centrale americana, come su notato. E’ una strategia perseguita anche dalla Cina, che tiene lo yuan molto vicino al dollaro, sebbene Washington protesti. I motivi per un calo dell’euro sono validi e numerosi, vanno dai debiti sovrani, che lo hanno indebolito a poco a poco, al recente taglio dall’1 allo 0,75 per cento del tasso d’interesse della Banca centrale europea, tasso che rimane comunque più elevato dello 0,50 per cento e oltre di quello della Federal reserve. In assenza di un ritorno dell’inflazione, e davanti al pericolo della deflazione in Italia e in Europa, la maggioranza degli operatori monetari ritiene che il calo dell’euro possa accentuarsi i mesi prossimi. Ma le sue proiezioni a fine anno e per il 2013 sono di un sia pur lieve apprezzamento dell’euro, a meno di un “boom” dell’economia americana tale da indurre la Federal reserve a rialzare i tassi. Eventualità improbabile, visto che in America la disoccupazione non accenna a scendere. Sarebbe incauto fidarsi di queste proiezioni in un momento in cui sono in gioco sia l’euro sia l’Europa. Ma se la “finestra di opportunità” offerta alla produzione e alla esportazione italiane ed europee dalla flessione della moneta unica è limitata come pensano gli esperti, allora il governo Monti e l’Unione europea non possono procrastinare gli investimenti nella crescita economica. L’aumento delle tasse e la riduzione del welfare, la “spending review” (ma perché prendiamo a prestito dall’America una terminologia così ingannatrice?) sono stati inevitabili. Deve esserlo altrettanto il rilancio dell’economia. E’ impossibile salvare l’euro e l’Europa, e diciamo anche la democrazia, con la sola austerity. I suoi fautori stanno commettendo un errore imperdonabile.
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