Il termine inglese “Deep State” è molto di moda in questi giorni. Indica uno Stato entro lo Stato, nel quale delle forze nascoste non rispondono più alla parte emersa e visibile del governo, ovvero al Parlamento e ai partiti, bensì a forze oscure, che perseguono proprie strategie e obiettivi diversi da quelli pubblici.
I nostri antenati romani, che se ne intendevano, il Deep State lo chiamavano “imperium in imperio” e “status in statu”.
Il Deep State influenza subdolamente la stampa e i media, controlla Facebook e Twitter, paga taluni giornalisti perché diffondano notizie che diventano virali, al fine di distrarre l’opinione pubblica, per dirigerla su binari morti, su nozioni confuse e secondarie, su pettegolezzi, su falsi eroi, convincendoci di stare dalla parte giusta e che ci troviamo a vivere nel migliore dei mondi possibili.
Un esempio recentissimo è quello di Cambridge Analitica, che viene accusata di aver causato, quasi per un accidente, l’elezione di Trump, quando in realtà pare essere vero proprio il contrario, essendo un chiaro caso di bue che dà del cornuto all’asino. Obama e Hillary, infatti, avevano fatto ampio uso di questi servizi di raccolta dati, ben prima di Trump.
Questo Deep State nella sua essenza pare familiare a noi italiani. Sappiamo dei grossi burocrati, i “culi di pietra” nella macchina governativa che fanno ostruzione selettiva su certe leggi che non gradiscono, oppure certi cartelli industriali o finanziari che paiono muoversi seguendo proprie leggi. Ne abbiamo visto un esempio pochi giorni fa con il cartello sui prezzi creati dalle società telefoniche sulle bollette, questo spiega perché pur essendo dei veri e propri maestri d’inefficienza, continuano a macinare profitti a dispetto della insoddisfazione dei propri clienti, che si trovano intrappolati in viziosi circoli burocratici dai quali non v’è redenzione o salvezza. (…)
Esiste un altro esempio di Deep State che s’è messo in moto recentemente: quello del voto all’estero e al quale ho avuto la ventura di partecipare, perdendo tempo e denaro nella circoscrizione Africa, Asia, Oceania e Antartide.
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Ebbene, durante la campagna elettorale s’avvertiva la presenza costante di una macchina che agiva nel sottosuolo e che se la rideva dei nostri dibattiti, delle discussioni e dei ragionamenti pubblici, e che poi era emersa dalle viscere della terra, il 4 marzo 2018, determinando gli esiti finali del voto.
Le Iene e qualche giornale ne hanno parlato e hanno descritto tale mostruosa talpa, ma scalfendone solo la pelliccia, parlandoci di schede non arrivate o rubate dalle cassette della posta, di voti di morti e di sottili ricatti ai pensionati fatti dai patronati. In realtà il Deep State delle elezioni all’estero controlla gli esiti finali attraverso meccanismi ben più sofisticati, e non è legato a un solo partito, anche se nella mia circoscrizione, in Australia, dove si concentra la maggioranza di italiani aventi diritto al voto, le forze di sinistra hanno raggiunto il 54%. Una evidente anomalia!
Approfittando del fatto che il voto postale non dà garanzia di segretezza e seguendo un copione già scritto, a livello di territorio e nel luogo dello spoglio, la bolgia dantesca di Castelnuovo di Porto, il Deep State ha compiuto la propria missione.
Il risultato finale dello spoglio non è ancora noto, a 20 giorni dal voto, eppure gli eletti all’estero già siedono in Parlamento, come se nulla fosse. Quanti fra di noi lo sanno e si scandalizzano per questo fatto? Nessuno lo sa, o se lo ricorda, o ci pensa!
Ci troviamo davanti a uno scandalo da repubblica delle banane, non alla nascita di una nuova repubblica, come ama profetizzare Luigi Di Maio, perché a noi questa pare essere la riedizione del peggio della precedente. I nostri padri, usciti dalla guerra e dalla povertà, ne sarebbero rimasti scandalizzati, eppure oggi non si scandalizza più nessuno, questo è il segno evidente che il Deep State ha già vinto.