L’Italia non e’ stata capace di adeguarsi ai cambiamenti (geopolitici, tecnologici, demografici) degli ultimi 25 anni ed ora si impone un aggiustamento di ‘portata storica’. Perche’ dobbiamo dimostrare di saper uscire dalla grave situazione in cui siamo caduti: imprese con difficolta’ di finanziarsi e di innovare, che chiudono, banche indebolite da crisi del debito sovrano e recessione, disoccupati raddoppiati dal 2007 (i giovani senza lavoro sono al 40%). Una spirale che ha prodotto un pil 2012 del 7% inferiore a 5 anni fa mentre il reddito disponibile delle famiglie e la produzione industriale sono in caduta libera.
E’ un atto d’accusa senza appelli quello rivolto dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, al Paese e in particolare ai suoi rappresentanti politici, che ‘stentano a mediare tra interessi generali e particolari’. E avverte: non bisogna ‘dissipare’ i frutti generati dall’uscita dalla procedura Ue per deficit eccessivo. Questi sono il risultato degli sforzi di risanamento che vanno portati avanti con le riforme senza ‘cali di tensione’. Anche perche’ margini per agire sul disavanzo ‘non ci sono’ quest’anno ed e’ illusorio per noi pensare di crescere utilizzando la leva del deficit.
In 20 cartelle fitte di dati e di analisi puntuali Visco non si sottrae, nelle sue seconde considerazioni finali, dal fornire suggerimenti e ricette precise, ad iniziare dal taglio delle tasse. Mentre ci si divide tra chi privilegia iniziare da un’abolizione dell’Imu e chi da un intervento su costo del lavoro e imprese il Governatore sembra prendere posizione; non cita il balzello sulla casa, ma sulle riduzioni di imposte e’ chiaro: sono ‘necessarie nel medio termine, pianificabili fin d’ora e non possono essere che selettive, privilegiando lavoro e produzione. Perche’ ‘il cuneo fiscale frena l’occupazione e l’attivita’ delle aziende’. Serve inoltre spezzare la spirale negativa’ nata dal calo dei prestiti bancari alle imprese da un lato e la flessione della domanda di credito da parte delle aziende che incide ‘negativamente sull’attivita’ economica’.
Insomma sul calo degli impieghi il discorso e’ complesso ma in ogni caso l’industria e’ chiamata ‘ad uno sforzo eccezionale’ per superare le difficolta’: ‘alcune lo stanno facendo – riconosce Visco – Troppo poche hanno pero’ accettato fino in fondo questa sfida. A volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico’. Adesso tutti insieme dobbiamo agire per evitare che la recessione abbia ripercussioni sulla coesione sociale cercando di favorire l’impiego dei giovani e in questa direzione ‘vanno poste le condizioni per sfruttare appieno strumenti e agevolazioni, gia’ previsti dal nostro ordinamento, all’ingresso e alla permanenza, da occupati, dei giovani’.
Poi il numero uno di Palazzo Koch illustra la portata storica del cambiamento che si impone: ‘molte occupazioni stanno scomparendo – osserva – negli anni a venire i ragazzi non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i piu’ anziani nel loro posto’. ‘Sin d’ora’ – ammonisce – si devono creare nuove chance di impiego e rafforzare ‘sistemi di protezione, pubblici e privati, nei periodi di inattivita”.
Alla fine arriva l’esortazione di Visco a non lasciarsi vincere dal pessimismo nonostante tutto: ‘non bisogna aver timore del futuro – dice – del cambiamento. Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti. Occorre consapevolezza, solidarieta’, lungimiranza. Interventi e stimoli ben disegnati’. Perche’, spiega, ‘anche se puntano a trasformare il Paese in un arco di tempo non breve produrranno la fiducia che serve per decidere che gia’ oggi vale la pena di impegnarsi, lavorare, investire’. Davanti a banchieri e imprenditori Visco rivendica infine il ruolo della vigilanza nell’aver evitato nella fase acuta della crisi il tracollo del credito. Ma invita comunque gli istituti di credito ad agire sui costi e gli azionisti, in particolare le fondazioni, a ‘rinunciare ai dividendi quando necessario’ e ad ‘accettare la diluizione del controllo favorendo all’occorrenza l’aggregazione con altri istituti’.
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