“Fucilazione senza processo”. Così il Corriere della Sera definisce la destituzione dalla Carriera diplomatica inflitta dalla Farnesina nel 2014, prima ancora di essere sottoposto a giudizio, ai danni di Michael Giffoni, una delle menti più colte e brillanti della diplomazia italiana, finalmente assolto dal Tribunale di Roma con formula piena, per non aver commesso il fatto.
Ambasciatore a Pristina, era stato accusato dai vertici burocratici della Farnesina di “dolo e colpa grave”, licenziato in tronco e poi denunciato alla magistratura per associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, a seguito di un traffico di visti attuato da parte di un infedele dipendente kosovaro dell’Ambasciata.
Dunque, prima ancora di essere sottoposto a giudizio da parte della magistratura, la Farnesina, sulla base di una arbitraria interpretazione del regolamento disciplinare e nella irruenza di un’inquietante foga giustizialista, aveva “destituito con disonore” l’Ambasciatore dall’incarico e dalla carriera, provocando un ricorso di Giffoni prima al Tar e poi al Consiglio di Stato, i quali decretarono, entrambi, il reintegro in servizio del diplomatico, senza che la Farnesina aderisse mai a quell’ordine, benché sancito da ben due gradi della Giustizia amministrativa.
Dopo un periodo di sette anni, in cui Giffoni ha subito due infarti, un ictus, un tumore e la separazione dalla moglie, è giunta ora la sentenza assolutoria anche in sede penale.
“La mia vita è ormai distrutta” ha detto l’Ambasciatore; ma la Farnesina, se la sentenza sarà confermata, dovrà prepararsi alla richiesta di un risarcimento gravosissimo in sede civile, per danni economici e biologici: un risarcimento, verosimilmente, multimilionario.
E pensare che i suoi accusatori hanno intanto fatto carriera, all’interno e fuori dalle gelide mura della Farnesina. Una di loro ha scalato tutti i gradi dell’Amministrazione dello Stato, promossa ora, “al fin della licenza”, ai vertici dei Servizi di sicurezza.
Non conosco personalmente Michael Giffoni, ma a lui invio un grande abbraccio di solidarietà per l’orrenda ingiustizia subita ed una esortazione a riconquistare non solo il posto che gli compete ma, soprattutto, la serenità interiore, con quella stessa forza d’animo che l’ha sostenuto durante gli anni orribili, circondato dal calore dei familiari e dal conforto dei diecimila volumi che compongono la sua biblioteca.