Esiste un paese al mondo in cui le persone si sentano più insicure che in Siria, dilaniata da una guerra civile da ormai oltre cinque anni? Sì, esiste. E si trova in Sudamerica. È il Venezuela.
Secondo il “2016 Global Law and Order Report”, un sondaggio realizzato dalla Gallup, la percentuale di siriani che si sentono al sicuro oggi all’interno dei confini del loro paese è del 32%, mentre in Venezuela solo il 14% della popolazione si sente protetta. Il peggior risultato tra tutti i paesi analizzati nel sondaggio.
Nella morsa della violenza I venezuelani non sono diventati improvvisamente paranoici. Si sentono insicuri perché le autorità hanno perso completamente il controllo della violenza, divenuta endemica nella nazione sudamericana. È da parecchi anni che la situazione continua a degenerare, con un’escalation di brutalità, ma lo scorso luglio è stato battuto un record nefasto: negli istituti medico-legali di Caracas sono arrivati oltre 535 cadaveri di vittime di crimini.
Una media di 17 corpi al giorno, che confermano come la capitale venezuelana sia la città più violenta del mondo. Un indice di 119 omicidi ogni 100 mila abitanti. Per avere un’idea, in Italia l’indice è di 0,8 omicidi ogni 100 mila abitanti. A Rio de Janeiro, che non è proprio in Svizzera, l’indice è circa un decimo di quello registrato a Caracas. L’Organizzazione mondiale della sanità considera la soglia di 10 omicidi ogni 100 mila abitanti come “un’epidemia”.
La violenza è naturalmente legata al peggioramento dell’economia del Venezuela, paese sprofondato in un vortice di crisi che sembra non conoscere fine. Molte voci si stanno alzando in America Latina per chiedere che, a livello internazionale, una tale situazione venga considerata al pari di conflitti veri e propri, come appunto quelli in Siria, in Iraq o in Afghanistan.
In fuga dal paese Non c’è da stupirsi, quindi, che i venezuelani fuggano in massa dal proprio paese. Secondo uno studio del Pew Research Center, oltre 10 mila venezuelani hanno già chiesto asilo politico agli Stati Uniti solo tra ottobre 2015 e giugno 2016. Nello stesso periodo dell’anno precedente, meno di 4 mila cittadini avevano presentato domanda d’asilo a Washington.
Ma la disperazione è tale che chi lascia il paese cerca rifugio non solo nel “paraíso americano”, ma anche in nazioni teoricamente più povere dello stesso Venezuela. Il piccolo Ecuador, per esempio, ha accolto tra giugno e luglio scorsi oltre 2 mila venezuelani in fuga dall’inferno. Si tratta, di solito, di venezuelani di origine ecuadoriana che, durante gli anni della bonanza economica in Venezuela, sono fuggiti dalla povertà di Quito. Ora che la prosperità ha ceduto il posto ad una crisi conosciuta solo dalle nazioni in guerra, fanno il percorso inverso.
Collasso economico e supermercati vuoti La situazione in Venezuela non è legata solo al crollo del prezzo del petrolio, oggi quotato ad un terzo del valore dei picchi raggiunti nel 2012-2013. Il paese era infatti già in crisi quando il petrolio superava i 120 dollari al barile. E le ragioni sono direttamente connesse alle disastrose scelte di politica economica dei governi di Hugo Chávez e Nicolás Maduro.
La violenza che attanaglia il paese sudamericano non è altro che un ulteriore segnale del fallimento del cosiddetto “socialismo del XXI secolo”. Gli indicatori che suggellano questo fracasso sono, naturalmente, economici: il Pil è crollato del -4% nel 2014, del -10% nel 2015 e del -6% nel 2016. L’inflazione, secondo i dati ufficiali del governo, ha superato quota 200% (ma, secondo dati ufficiosi e più attendibili, si attesterebbe ad una percentuale dieci volte superiore).
Senza contare la scarsità di materie prime, che ha portato alla chiusura di molte industrie. Impossibile continuare l’attività produttiva. La stessa Coca-Cola ha dovuto chiudere i battenti. Il risultato immediato è stata la scarsità di prodotti nei supermercati venezuelani, il cui simbolo più eclatante è stata la carenza di carta igienica in tutto il territorio nazionale.
Episodi caricaturali a parte, esistono indicatori molto più drammatici. Il primo è quello della crisi alimentare, che ovviamente sta colpendo la popolazione più povera. E che ha portato a fughe di massa verso la Colombia alla ricerca di cibo, nelle poche ore in cui il governo di Caracas ha permesso l’apertura delle frontiere. Scene degne di esodi biblici riprese dalle televisioni di tutto il mondo.
Come se non bastasse, in un recente articolo l’agenzia Reuters ha riportato come un numero crescente di giovani donne ricorra, obbligata dagli eventi, alla sterilizzazione, per evitare le difficoltà di una gravidanza e della crescita di figli in un paese in preda ad una crisi così terribile. Secondo l’agenzia di stampa, “contraccettivi tradizionali sono praticamente scomparsi dagli scaffali, forzando le donne verso un’operazione chirurgica difficilmente reversibile”.
Non è complicato comprendere perché i governi di Argentina, Brasile e Paraguay si rifiutino di passare la presidenza del Mercosur al Venezuela. Un paese in piena crisi umanitaria e che continua la sua traiettoria verso il disastro.
*Carlo Cauti è un giornalista italiano di base a São Paulo del Brasile
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