La platea e’ sbracata, i piu’ sono in tuta, giusto un paio su quasi trecento hanno una giacca. E gli applausi arrivano nei momenti sbagliati a interrompere la melodia, ma sono piu’ calorosi e, dira’ alla fine il maestro Uto Ughi, graditi. Il violinista con i suoi Filarmonici ha suonato questo pomeriggio per i detenuti del carcere romano di Rebibbia e, piu’ che un concerto, e’ stata una lezione di musica, di amore per il bello per chi invece da ristretto passa le giornata tra la noia e lo squallore.
‘Un messaggio di speranza’ e un momento di giustizia e eguaglianza, lo definisce il ministro Severino, che non e’ riuscita ad arrivare, a causa del Consiglio dei ministri, ma ha mandato un biglietto. A lei i detenuti avrebbe voluto chiedere a che punto e’ la legge che aspettano piu’ di tutte, quella sulle pene alternative.
Alle prime note dalla ‘Primavera’ di Vivaldi gli spettatori si scambiano sguardi di intesa, la conoscono e dai gesti sembrano gradire. Ughi parla loro di acustica, che nel teatro del nuovo complesso e’ ‘un po’ secca’ e per questo si scusa per l’esecuzione. Introduce i brani e gli autori, Astor Piazzolla, Pablo de Serasate e Antonio Bazzini, allievo di Paganini. Spiega le differenza tra preludio e allegro e come il violino puo’ trasformarsi in voce lirica con la Carmen.
Alla fine del repertorio, studiato per un’ora di concerto, cerca di accontentare le richieste e improvvisa un’Ave Maria di Gounod. Uno dei detenuti si alza per ringraziare a nome di tutti: ‘Questa sera ci ha riempito di nobilta’ ed eleganza. Non ci ha reso liberi ma ci ha reso nobili’.
Per Ughi ‘e’ un piacere poter portare un po’ di sollievo, in un momento in cui da piu’ parti si invocano condizioni piu’ umane per gli istituti penitenziari’. ‘L’arte deve poter entrare dappertutto’, dice alla fine: ‘Parla al di la’ delle barriere’. La musica classica, scrive il violinista nel depliant che i detenuti hanno trovato sulle poltroncine del loro teatro, ‘va tirata fuori dai pregiudizi e va ascoltata con attenzione per sentirla pianamente. E’ per questo che siamo qui oggi’.
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