Washington – Sceso dal suo Olimpo intellettuale, nel secondo dibattito televisivo (il terzo e ultimo avrà luogo lunedì) il presidente Obama si è preso la sperata rivincita sul candidato repubblicano Romney, che lo aveva sconfitto nel primo. Ma la sua vittoria ai punti non significa che possa essere certo di venire rieletto.
Le elezioni americane sono più aperte che mai, e di qui al giorno del voto Obama dovrà convincere gli indecisi di meritare un secondo mandato. Molto dipenderà dai dati economici che usciranno nel frattempo. Romney martella sulla crisi della economia e sulla disoccupazione, ma Obama risponde che l’America se la sta cavando molto meglio dell’Europa. E a ragione: il prodotto interno lordo cresce di circa il 2 per cento, e i disoccupati sono sotto l’8 per cento. Gli americani comunque potrebbero volere un cambiamento, anche se non sarebbe nell’interesse della maggioranza. In un secondo e ultimo mandato, Obama si sentirebbe più libero di agire, e attuerebbe le riforme rimandate nel primo. Ci sarebbero una maggiore ridistribuzione della ricchezza e un maggiore controllo della finanza privata.
Dopo i primi due dibattiti televisivi tra Obama e Romney è chiaro a tutti su che cosa voteranno gli elettori alle elezioni presidenziali il 6 novembre (e anche alle elezioni parlamentari italiane e tedesche l’anno prossimo): sulla creazione dei posti di lavoro e sul ruolo dei governi nell’economia. Ma è anche chiaro a tutti che le proposte dei partiti, in America come in Europa, non possono essere estremizzate dalla ideologia. In America, secondo troppi repubblicani, i governi non devono interferire nell’economia, ossia regolamentarla, e devono tagliare le tasse delle aziende e degli investitori, i ricchi, perché a loro giudizio solo un mercato totalmente libero può produrre la ripresa. Per molti democratici è l’esatto contrario: stando a essi, l’unica via alla ripresa è lo statalismo. Un repubblicano, il senatore Bob Corner del Tennessee, vuole addirittura vietare alla Federal reserve iniziative dirette al pieno impiego, mentre un democratico, il deputato John Kucinich, vuole che rinunci alla propria indipendenza e segua le politiche governative. Entrambi scordano che se l’America ha evitato una seconda recessione è grazie alla Fed.
I due partiti americani non paiono rendersi ancora conto che ovunque l’economia non è più quella di trenta, quaranta anni fa. La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica l’hanno radicalmente cambiata. L’andamento economico non è più prevedibile e la ridistribuzione della ricchezza non è più gestibile come lo erano prima. Mentre la rivoluzione industriale creò posti di lavoro e generò il ceto medio in ognuno dei paesi dove ebbe luogo, la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica lo distruggono esportando quei posti nei paesi terzi o nei paesi più innovatori. E’ una nuova guerra, ma i repubblicani e i democratici la combattono con le armi della guerra precedente.
Glenn Hubbard, il consigliere di Mitt Romney, dichiara che l’economia globale si stabilizzerà e diverrà più equa, come accadde gradualmente alle economie nazionali dopo la rivoluzione industriale. Ma anch’egli dimentica una cosa: che ciò fu reso possibile dall’adozione del welfare e della istruzione pubblica, e dagli accordi commerciali, monetari, istituzionali e via di seguito. Dopo il voto del 6 novembre, il compito del presidente eletto, sia egli Obama o sia Romney, sarà di trovare il giusto equilibrio finanziario, economico e sociale.
Il crac finanziario globale del 2008 e la crisi dei debiti sovrani europei hanno portato il mondo sull’orlo di una seconda Grande depressione dopo quella degli Anni trenta e ci stanno indicando quello che non bisogna fare. Non bisogna tagliare contemporaneamente i deficit di bilancio degli stati, delle aziende e delle famiglie, abbracciare cioè l’austerity totale, altrimenti il sistema crollerà. E non bisogna portare il capitalismo a uno stato ancora più brado di quello degli ultimi decenni, altrimenti causerà più danni di quanti ne abbia già causati. Ma il 2008 e la crisi dei debiti sovrani non ci stanno indicando che cosa bisogna fare. Occorre perciò che i repubblicani e i democratici Usa e che le destre e le sinistre europee riflettano a fondo su come trasformare in forze costruttive la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica. Servono nuove riforme economiche e sociali, nuovi accordi e istituzioni internazionali. La spesa pubblica, a esempio, deve aumentare la produttività tramite investimenti nelle infrastrutture, nelle tecnologie e nell’istruzione, e i mercati devono essere più coordinati.
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