Provo tristezza a seguire il dibattito sulle unioni civili in Italia. Nato come battaglia di civiltà per il riconoscimento dei diritti e dei doveri derivanti da una convivenza legittima delle coppie omosessuali, il tema rischia a mio parere di degenerare quando si pretende di accorpare ai diritti anche la violenza su eventuali minori negando loro il diritto alla genitorialità naturale. Che altro sarebbe, infatti, l’adozione del figlio o figlia del partner da parte dell’altro partner di una coppia omosessuale se non l’attribuzione a un bambino di un secondo padre o di una seconda madre?
Da che mondo è mondo ogni essere umano vede la luce grazie a un padre e a una madre. Con il disegno di legge (ddl) Cirinnà un bambino potrebbe essere costretto ad avere un genitore 1 e un genitore 2. Per rendersene conto basta andare a leggersi in un qualsiasi dizionario il significato del termine «adozione». In Wikipedia: «l’adozione è un istituto giuridico che permette a un soggetto detto adottante di trattare ufficialmente un altro soggetto detto adottato come figlio, il quale assume il cognome dell’adottante».
Per aggiungere confusione al problema, serissimo, si è persino giunti (e purtroppo non è la prima volta) a utilizzare per questo «istituto giuridico» l’espressione inglese «stepchild adoption», con scarso senso democratico (perché si sa bene che in Italia solo pochi conoscono sufficientemente l’inglese) e scarso rispetto della lingua italiana (anche se la Costituzione, purtroppo, non garantisce l’italiano come lingua ufficiale dello Stato).
Sicuramente qualche sostenitore del ddl Cirinnà ora in discussione al Senato, obietterà che con l’adozione del figlio acquisito si vuole unicamente la felicità del bambino e non certo (solo) quella della coppia omosessuale, ma mi pare un argomento insostenibile perché non è dimostrabile in anticipo la felicità o l’infelicità di un bambino per esempio nella delicata fase adolescenziale, quando il problema delle radici, ossia del padre e della madre, s’imporrà in maniera forte. Difficilmente si può escludere che il fatto di avere legalmente due padri o due madri possa comportare qualche trauma psicologico. Si tratterà infatti sempre di una situazione «a-normale», almeno statisticamente.
Trovo anche strano che uno Stato che per bocca di molti suoi rappresentanti si vanta di essere la culla del diritto non trovi una soluzione più dignitosa e rispettosa del bambino orfano (o comunque in condizione simile) per garantirgli nel presente e nel futuro i diritti civili che gli spettano, senza ricorrere alla forzatura della doppia paternità o una doppia maternità.
A coloro che sostengono che è padre o madre solo chi ama si dovrebbe rispondere che si può amare un bambino (come qualunque altra persona) anche senza esserne né padre né madre e senza adottarlo. Gli esempi per dimostrarlo non mancherebbero certo. In ogni caso i diritti dei figli in condizione di adottabilità non andrebbero mescolati con i diritti civili rivendicati dalle coppie omosessuali.
Da questo punto di vista trovo coerente la legislazione svizzera che nella «legge federale sull’unione domestica registrata di coppie omosessuali» (così si chiamano in questo Paese le unioni civili per dare luogo alcuno a confusioni con la famiglia o col matrimonio tra uomo e donna) dichiara esplicitamente: «Chi è vincolato da un’unione domestica registrata non può adottare né valersi di tecniche di procreazione medicalmente assistita» (art. 28).
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