Quando qualche mese fa Papa Francesco era intervenuto sui divorziati e sui gay (“chi sono io per giudicare gay e divorziati?”), alcuni osservatori s’immaginarono un’apertura della Chiesa cattolica ai matrimoni gay. I sostenitori delle unioni civili presagirono una vicina introduzione anche nell’ordinamento italiano (come già avvenuto in altri Paesi) di una sorta di matrimonio omosessuale e il dibattito su questo spinoso tema si riaccese dentro e fuori delle aule parlamentari.
E’ tempo di decidere Siccome finora la Chiesa non ha aperto in questa direzione (e forse non aprirà mai), l’attenzione dell’opinione pubblica è calata e il dibattito sull’argomento è rientrato nell’ambito ristretto della cronaca politica. In realtà sembra che qualcosa stia per accadere, perché voci importanti del mondo politico e mediatico si sono espresse di recente a favore delle unioni civili.
Francamente mi sorprende la lungaggine di un dibattito su un tema che per quanto controverso potrebbe essere risolto facilmente, mentre altri problemi ben più importanti non vengono affrontati con la serietà e l’urgenza che meriterebbero.
Quando dico “facilmente” non intendo negare la complessità e la delicatezza del tema, ma ritengo che basterebbe superare la confusione terminologica per giungere in tempi ragionevoli ad una soluzione soddisfacente sul piano giuridico e sociale.
Così è avvenuto in Svizzera, giusto per citare un esempio significativo, dove è stata adottata una terminologia assolutamente inconfondibile, designando l’unione civile incardinata nel diritto civile “unione domestica registrata”.
Continuare invece, come avviene in Italia, a utilizzare indifferentemente il termine “matrimonio” per designare sia l’unione tra un uomo e una donna quale fondamento della famiglia sia l’unione omosessuale, certamente non aiuta.
Un conto è infatti parlare di “matrimonio” e un altro di “unione civile”, soprattutto se gli effetti giuridici sono differenti riguardo in particolare all’adozione (com’è nella maggior parte degli ordinamenti giuridici). Per questo è essenziale che il dibattito politico cominci col chiarire senza equivoci gli effetti che s’intende conseguire con la riforma del diritto di famiglia.
Centralità della famiglia Nella discussione andrebbero tuttavia tenuti presente, a mio avviso, anche alcuni aspetti non trascurabili, ad esempio la concezione tradizionale della centralità della famiglia come si è sviluppata non solo nella nostra società ma in tutte le società umane, la situazione attuale di crisi della famiglia, ma anche la delicatezza dei problemi legati al ruolo dei genitori (paternità e maternità), alla figliolanza e all’adozione, alla protezione e all’educazione dei figli, ecc.
Non credo che dal punto di vista dello Stato di diritto sia sostenibile l’eventuale accusa di discriminazione, qualora si decidesse di distinguere nettamente il matrimonio dall’unione civile o unione domestica registrata, accordando a quest’ultima solo i diritti civili fondamentali (libertà di unione, assistenza, sussidiarietà, eredità, ecc.), ma negandole ad esempio la possibilità di adottare. Lo Stato di diritto infatti non può garantire tutto a tutti, mentre è certo che debba garantire ad alcuni elementi una protezione particolare, o perché più deboli (ad esempio i figli) o perché considerati un pilastro fondamentale della società (ad esempio i genitori e la famiglia).
Fatte queste premesse e visto che ormai c’è un ampio orientamento politico favorevole alle unioni civili, tanto varrebbe che il Parlamento accordasse senza indugio alle coppie omosessuali registrate i diritti civili corrispondenti ai loro interessi legittimi soprattutto in campo patrimoniale, ereditario, assistenziale, e ne escludesse chiaramente altri, ad esempio in relazione all’adozione.
Interventi coraggiosi e urgenti Risolto questo annoso problema, le forze politiche ma anche il dibattito pubblico dovrebbero affrontare seriamente la vera sfida della nostra società, che verte ancora sulla centralità della famiglia oggi minacciata da una profonda crisi di identità, di funzionalità e di sviluppo. La famiglia oggi è in crisi perché è poco considerata, non è sostenuta, anzi è spesso ostacolata nella sua formazione e nel suo sviluppo. Persino nella distribuzione dei famosi 80 euro di sussidio per i redditi più bassi il governo Renzi si è dimenticato del «quoziente familiare», delle difficoltà delle famiglie monoreddito, delle famiglie monoparentali, delle esigenze di molte famiglie con membri disabili, in formazione o disoccupati, ecc.
In Italia dovrebbero far riflettere i dati pubblicati recentemente dall’Istat, dai quali emerge che gli italiani si sposano di meno (nel 2013: -200.000) e fanno meno figli (in calo ormai da cinque anni; nel 2013 minimo storico), mentre la popolazione continua ad invecchiare. La Svizzera è messa un tantino meglio: nel 2013 sono calati i matrimoni, ma sono aumentate leggermente le nascite.
Credo che una delle priorità del governo italiano dovrebbe riguardare la famiglia nella sua complessità e nelle sue enormi difficoltà. Se è vero, come molti per fortuna ancora ritengono, che la famiglia rappresenta la cellula fondamentale della società, credo che si debba intervenire coraggiosamente e con urgenza per far sì che questa cellula si sviluppi in maniera sana ed equilibrata. Anche la Chiesa cattolica, col Sinodo straordinario sulla famiglia del prossimo ottobre 2014, potrebbe dare un grande contributo.
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