Il nuovo presidente brasiliano Jair Bolsonaro lo aveva promesso e ha mantenuto l’impegno. Pochi giorni dopo la sua entrata in carica i servizi segreti brasiliani (coadiuvati da quelli italiani) hanno finalmente catturato in Bolivia il terrorista latitante Cesare Battisti e il pluriomicida è stato subito trasferito in Italia per scontare 30 anni di galera per i suoi delitti.
Coperto dai governi brasiliani precedenti e dalla sinistra internazionale Battisti era prudentemente sparito già a metà dicembre dopo oltre trent’anni di dorata latitanza.
Un bel biglietto da visita e di efficienza per Bolsonaro, dal primo gennaio entrato in carica come 38° presidente della Federazione degli Stati Brasiliani eletto a fine ottobre raccogliendo la maggioranza assoluta dei voti, ma anche l’unanime sdegno della stampa “progressista”.
Secondo queste fonti il personaggio ha tutte le caratteristiche per non piacere, ma è interessante cercare invece di approfondire i perché di questo successo dopo oltre un quindicennio di presidenza del “Partito dei lavoratori” prima con Luiz Lula Da Silva poi con il suo braccio destro Dilma Rousseff, entrambi incriminati (Lula anche arrestato) per manifesta corruzione.
Da notare che ad ottobre erano in palio anche i seggi di 13 governatorati di altrettanti stati brasiliani e – di questi – 12 sono stati conquistati da esponenti anti-sinistra rivoltando completamente la situazione precedente.
Non è un caso che il primo a congratularsi con Bolsonaro sia stato Donald Trump: i due si somigliano molto e per l’elezione di entrambi più che le simpatie personali hanno contato l’aperta avversione degli elettori per i candidati alternativi.
In Brasile il bilancio di oltre un quindicennio di presidenza a sinistra è stato giudicato fallimentare dalla gran parte dei brasiliani, con molte analogie a quello che potrebbe essere il futuro scenario italiano.
Va subito chiarito che il Brasile – federazione di 26 stati indipendenti, oltre al distretto federale di Brasilia – ha il proprio traino nel Sud del Paese, mentre il Nord è più povero e selvaggio. Si va dal mezzo milione di abitanti del Roraima, nel Nord, ai 41 milioni dello stato di San Paolo, a volte con superfici immense come lo stato dell’Amazzonia, grande 15 volte l’Italia ma con solo 3 milioni di residenti.
Da sempre il Nord vota a sinistra, ma Lula ha sicuramente accentuato la dipendenza economica della gente dalla assistenza pubblica creando casi paradossali – il riferimento al “reddito di cittadinanza” italiano è lampante – in cui è molto più conveniente non fare nulla e raccogliere comunque sussidi pubblici che non mettersi ufficialmente a lavorare.
Ciò ha progressivamente portato ad una spaccatura profonda con gli stati del Sud più moderni e produttivi, con una vera e propria rivolta istituzionale contro Brasilia e addirittura minacce di secessione.
Non appena l’economia ha rallentato – dopo il buon sviluppo intorno agli anni ‘2000 – i problemi si sono accentuati, accompagnati da una escalation delle violenze di una delinquenza che è arrivata a controllare e condizionare la vita del Paese.
Questo per la corruzione endemica di tutto il sistema, ma anche per la diffusione della droga (di solito un povero “crak” locale che fuma i cervelli) con un’infinità di persone letteralmente accampate oggi in ogni punto delle città brasiliane o sdraiate per terra senza alcuna prospettiva.
Su questo aspetto ha avuto buon gioco Bolsonaro – di fatto appoggiato anche dalle forze armate – a promettere ordine, pulizia e disciplina, con una richiesta che però è profondamente condivisa da una larghissima parte di opinione pubblica costretta a vivere blindata in una situazione di pericolosa insicurezza.
Chi visita oggi il Brasile resta sconcertato dal numero di poliziotti presenti nelle strade (soprattutto nelle aree turistiche) ma anche da una burocrazia inefficiente e corrotta, dai prezzi in ascesa, da un paese che sta sprofondando in una crisi profonda e per la quale molti incolpano proprio Lula e la Riusseff e le loro “non riforme” coperte solo da mero assistenzialismo.
Un paese che ha ospitato nel 2014 Olimpiadi e Mondiali di calcio – costruendo cattedrali nel deserto spesso già in rovina – ma che sopravvive solo con i crediti internazionali e per lo sterminato patrimonio (mal sfruttato) di materie prime di cui ancora dispone, ma dove scuola, trasporti e sanità pubblica non funzionano, tanto che chi può si rivolge ad assicurazioni e strutture private.
Trent’anni fa solo il 5% dei brasiliani aveva un reddito di livello europeo (tra di loro – oggi come allora – molti super ricchi francamente eccessivi), una percentuale salita oggi intorno al 30% ma con una media borghesia molto preoccupata del futuro e che – compatta – ha quindi votato il nuovo presidente.
Bolsonaro sconcerta qualcuno per dichiarazioni, caratteristiche, populismo e demagogia, ma sicuramente oggi rappresenta per molti brasiliani una speranza, soprattutto perché la sinistra ha certificato la propria incapacità di governo.