Gaetano Manfredi, rettore della Federico II e presidente della Crui, definisce la cosiddetta “emigrazione universitaria” una “vera e propria desertificazione” più che una “emorragia”.
Manfredi, a colloquio con il Corriere del Mezzogiorno, analizza i dati Svimez, pubblicati ieri dallo stesso giornale, che parlano di una “fuga della «meglio gioventù» meridionale”.
“Nell’anno accademico 2016-2017 157 mila diplomati del Sud si sono iscritti negli atenei del Centro-Nord. Il dato più alto è quello lucano, il più basso campano” si legge sul quotidiano.
“È un fenomeno – spiega Manfredi – che già esisteva e si è molto amplificato con la crisi economica. La forte migrazione verso il Nord la motivo essenzialmente col fatto che visto che in quelle regioni ci sono opportunità di lavoro, si trasferiscono già da studenti. Hanno così un piede direttamente nel mercato”. Questo fenomeno, però, comporta oggettivamente “danni enormi. Sul Pil, perché quelli più istruiti se ne vanno, sulla demografia, perché le regioni meridionali da più giovani stanno diventando le più vecchie. Danni sul capitale sociale, perché sono i migliori ad andar via. Non ci sarà classe dirigente”.
Il quadro scattato dal professore è davvero drammatico, ma è la fotografia della realtà. Pensiamo solo che negli ultimi dieci anni, in media, hanno lasciato l’Italia oltre 100mila italiani. E’ una fuga che sembra non volersi arrestare. Sono tantissimi quelli che dal Sud emigrano verso il Nord Italia, è vero, ma sempre più spesso scelgono addirittura di varcare i confini nazionali per cercare all’estero un futuro migliore.