Egregio Papa, la presente lettera con accorato appello vuol dare voce alla sofferenza di molti fedeli che sono rimasti addolorati lunedì scorso, e ancora non se ne capacitano, per la sua visita alla salma di Giorgio Napolitano in veste di papa laico, se non di cittadino Bergoglio.
Il mancato segno della croce davanti a un defunto, un Papa che per rispettare la volontà di un ateo non rispetta la fede di cui è Santo Padre, ha avvilito quei credenti.
Non si trattava di imporre funerali religiosi, di forzare la volontà del morente, di insinuare elementi di fede e di rito in un cerimoniale rigorosamente laico e acattolico, come il cimitero in cui Napolitano è stato sepolto. Si trattava più semplicemente di salutare un defunto come lo saluta un sacerdote, un uomo di fede, un papa. Il segno della croce riguardava lei, la Chiesa che lei rappresenta, il popolo dei suoi fedeli, la sua Fede, davanti a qualunque salma, senza scalfire le convinzioni del defunto e dei suoi famigliari. In fondo il suo saluto era uno tra tanti che lo hanno fatto laicamente; non avrebbe affatto prevaricato il suo isolato, estremo saluto all’uomo, prima che alla figura istituzionale, arrivando perfino a raccomandare la sua anima a Dio, come farebbe qualunque sacerdote, nonostante la professione di ateismo del defunto.
E’ stato penoso, lo dico senza polemica, penoso nel senso che ha generato senso di pena, quel suo silenzio muto, inespressivo, inerme davanti alla salma. Un papa non può relativizzare e privatizzare la sua fede, cioè adeguarsi a chi ha davanti e disattivarla secondo circostanza, mettere la fede in modalità aereo e nascondere le sue tracce: si è sempre sacerdoti e padri (semel abbas semper abbas, dicevano gli antichi).
E la cosa peggiore, egregio papa Bergoglio – dico egregio perché un pastore è ex-gregis e conduce il suo gregge – è che quell’atto compiuto a Palazzo Madama non è il solo. Ne ho visti altri, seppure meno significativi. Solo per citarne un paio di recenti, non è stato bello vedere il comico Lino Banfi farsi fotografare a braccetto con il Papa; non lo avrebbe fatto con Mattarella, non glielo avrebbe permesso e ne avrebbe avuto soggezione; invece lo fa col Papa. Non mi pare di ricordare neanche capi di stato o eminenti figure posare a braccetto del papa. E sconfortante, e anche un po’ umiliante è stata pure l’immagine sua a fare anticamera da Macron, come un qualunque avventore o paziente nella sala d’attesa di un dentista o di un mutuo.
Quando la vedo in queste situazioni, o quando sento alcuni suoi interventi da presidente di Ong, della Cgil-Preti o da Papa acattolico, quando ascolto alcune sue perorazioni da militante delle battaglie green o da sostenitore degli sbarchi, come se gli scafisti fossero missionari del Signore, a me sorge un’idea che le propongo in tutta umiltà, senza ironia, anche se non manca un lieve senso del paradosso. Mi spiego. Quando il Papa non fa il Santo Padre, quando cioè non parla ex cathedra Petri, quando non si pone come Vicario di Cristo e ponte tra l’uomo e il Dio (pontifex), ma va da privato cittadino a un funerale, senza farsi il segno della croce; o quando si fa fotografare da privato cittadino a braccetto con un comico, un calciatore o magari prende un numeretto e si mette in fila o spinge il carrello della spesa in un supermercato, perché non indossa abiti più consoni alla circostanza? Lei ha fatto molte innovazioni, ha infranto molti riti, liturgie e tradizioni, perché non introduce un nuovo cambiamento nei suoi abiti? Quando recita la messa, quando predica dal pulpito, quando impartisce le benedizioni e i sacramenti, quando insomma è nelle sue piene funzioni di Santo Padre, allora indossa i suoi abiti da Papa, con i paramenti sacri. Quando invece assume questi ruoli laici, privati, da uomo libero, perché non indossa abiti comuni, si toglie l’abito talare e si mette in borghese, giacca e pantaloni o in tuta d’operaio, se preferisce? Non sarebbe più coerente, più appropriato distinguere gli ambiti distinguendo gli abiti?
E’ vero che l’abito non fa il monaco, ma quando si astiene dal ruolo di sacerdote e Santo Padre, come ha fatto andando in Senato a omaggiare da cittadino la salma di Napolitano, quando non deve pregare né farsi il segno della croce, non sarebbe più consono vestirsi di conseguenza? Così anche i credenti non sarebbero disorientati, si renderebbero conto che in quel momento il Papa è fuori servizio, e dunque non risponde del suo comportamento. E’ solo il cittadino Bergoglio, senza panni curiali.
Sarebbe un ripiego, ne convengo, un compromesso, ma perlomeno salverebbe sacro e profano, distinguendone le sfere, i tempi e i modi; tutelerebbe da un verso la sua figura di Pontefice, figlio, padre e massimo rappresentante della tradizione cattolica, e dall’altro la sua coscienza di cittadino contemporaneo, in alcuni casi momentaneamente acattolico. In alcuni momenti, in alcune sue preghiere, in alcuni suoi accorati appelli io l’ho sentita profondamente Padre e Papa; e nel nome di questi e del rispetto che si deve a un Pontefice e a quel che rappresenta, le chiedo di non confondere i due piani ma di tenerli ben separati.
Mi creda, non sto ironizzando e tantomeno dileggiando la sua figura, il mio è un tentativo in buona fede, perfino ingenuo ed estremo, di cercare un accettabile compromesso tra quello che sente di fare e di dire e quel che il suo apostolato le impone di fare. Diciamo una mediazione tra libertà civica e individuale e tradizione religiosa e liturgica; distinguere quando si è figli del proprio tempo e quando si resta figli di Santa Madre Chiesa. Quando fa l’omino qualunque, e non il Papa, si vesta da omino qualunque.
P.S. Sulle celebrazioni unanimi di Napolitano, papa incluso, l’unico lampo di verità lo ha espresso suo figlio Giulio quando ha ricordato pure i suoi errori, le cause sbagliate che ha sostenuto. E’ stato l’unico a farlo, ed era l’ultimo ad avere il dovere di farlo.
Marcello Veneziani