PREMESSA
C’è veramente da chiedersi il perché il novanta percento dei nostri media abbia deciso di schierarsi a testa bassa contro la Russia. Solo perché siamo di fronte ad un’invasione? O perché non ci piace in alcun modo chi inizia una guerra? Sono due ragioni valide. Eppure, allora: perché l’atteggiamento non è stato lo stesso quando la NATO (Senza nessun avallo dell’ONU) ha attaccato e bombardato la Serbia? Perché non ha accusato gli Stati Uniti quando ha invaso l’Iraq nella seconda guerra contro Saddam Hussein? Forse la risposta sta nel fatto che siamo alleati degli americani e quanto deciso da loro va bene “a priori”?
Noi siamo membri della NATO e tale alleanza è stata una benedizione per tutta l’Europa Occidentale per la contrapposizione al sistema comunista sovietico. Tuttavia, gli interessi delle nazioni possono modificarsi nel tempo e, tra gli Stati, non esistono “benefattori”. Ognuno persegue legittimamente i propri interessi e, lo abbiamo dovuto riscontrare anche recentemente con le operazioni USA di spionaggio contro i capi di Stato europei. Alleati non è sempre sinonimo di comunanza di obiettivi.
Questa guerra in Ucraina è stata preparata, nei fatti e nei precedenti visibili da chi non vuole essere cieco, dagli americani; quella di Putin, condannabile quanto si vuole, è una reazione provocata in tutti i modi possibili. Forse questa reazione è spropositata, ma non inattesa (vedi cosa diceva Biden nel ’97). Perché non si è cercato di evitarla?
Soprattutto: perché i governi europei (contro il loro stesso interesse) stanno assecondando il teatrante di Kiev (pura marionetta in mani altrui) e rompendo ogni possibile ipotesi di dialogo con la Russia? Perché distruggere le nostre economie in cambio di nulla? Perchè, invece di cercare la pace, si chiede agli ucraini di continuare a morire e si mandano loro altre armi affinché non siano tentati da qualche possibile negoziazione? Gli USA hanno un loro interesse nel farlo, seppur meschino e disdicevole (vedi le conversazioni di Nuland intercettate qualche anno fa), e diversi analisti americani lo hanno evidenziato con onestà. Ma dove sta l’interesse di noi europei? E perché i nostri politici sembrano tutti ciechi? O sono solo stupidi?
E perché i nostri giornalisti stanno tutti da una parte sola? Certo, il conformismo verso il più forte paga sempre, o in termini di carriera o di “moneta”! Perché mettersi a rischio? Qualcuno vuole perdere il posto (o la remunerazione sottobanco) come successo al prof. Orsini? Certo che no! Sono disgustato!
ARTICOLO
Di una piacevole conversazione di alcuni anni fa con l’amico Sergio Stanzani Ghidini (un laico sincero, che dedicò tutta la sua vita alle battaglie del Partito Radicale), mi sono rimaste impresse alcune sue parole che suonavano come una parafrasi dello spirito filosofico di Piero Gobetti. Mi disse che un sistema liberale ottimale dovrebbe essere quello ove ciascuno rivesta fino in fondo il proprio ruolo e non si sostituisca a quello altrui: un sindacalista deve fare il sindacalista, l’imprenditore sia uomo d’azienda, il prete predichi onestamente e assista le anime, lo storico descriva dall’alto e senza passioni ciò di cui narra ecc.
Anche un analista di politica internazionale dovrebbe analizzare le situazioni senza farsi fuorviare da propagande del momento o da tifo da stadio. Durante questa crisi Ucraina, purtroppo, molti incompetenti si sono eretti ad “esperti” e molti (troppi) analisti solitamente molto professionali hanno dimenticato il loro compito e hanno giocato a fare i politici. Anche tra molti cosiddetti think-tank sembra che sia la propaganda di parte a prevalere. In tempi di guerra è normale che tutte le parti combattenti diffondano notizie false ma utili ai propri fini e la cosa migliore per chi vuole veramente capire cosa e perché certe cose succedano sarebbe di studiarne la storia e considerare tutte le versioni disponibili. Proprio nel caso della guerra in Ucraina, quando la descrizione degli eventi fatta da moltissimi giornalisti (o pseudo tali) assume un carattere così fazioso da non lasciare nessuno spazio al dissenso, è importante che ci sia ancora qualcuno che voglia offrire punti di osservazione alternativi al mainstream.
Un analista politico serio ha due compiti da offrire ai politici e all’opinione pubblica: narrare i fatti antecedenti e, ove possibile, immaginare gli sviluppi futuri. Ciò che non si deve mai dimenticare è che il mondo reale non è manicheo ma piuttosto è Yin-Yang e che chi offre verità assolute, di certo, si sbaglia. Tutto ciò naturalmente facendo salva la buona fede.
Cominciamo con l’accusa lanciata dal presidente Usa Joe Biden verso il collega russo Vladimir Putin di essere un “criminale di guerra”. Se lo fosse davvero, lui o i suoi generali, sarà la storia a dircelo, forse, a guerra finita, quando si saranno sopiti i tentativi delle rispettive propagande. Per ora, l’unica reazione che possono suscitare tali parole è che quello americano non è certo il pulpito migliore da cui lanciare la predica. Non è il caso di parlare di avvenimenti troppo lontani come l’aver raso al suolo durante la guerra mondiale intere città tedesche piene di abitanti, né delle atrocità commesse dai soldati americani in Vietnam. Di quelle cose Biden può essersi dimenticato per ragioni anagrafiche. È invece necessario ricordare il più recente bombardamento indiscriminato di Belgrado, gli assassinii di innocenti compiuti dai militari a stelle e strisce in Iraq e i milioni di morti “accidentali” in Afghanistan. Qualcuno ha mai enfatizzato che si trattò di “crimini di guerra”? Beh, anche volendolo, non sarebbe stato possibile sottoporli al giudizio del Tribunale Penale Internazionale poiché gli Stati Uniti hanno sempre rifiutato di aderirvi (anche la Russia non lo riconosce, mentre sono ben 123 gli Stati che lo hanno ratificato). Comunque sia, qualora si accertasse che Putin sia un criminale di guerra, chi lo processerebbe? Un tribunale di Chicago?
Passiamo oltre. I sostenitori senza dubbi dell’Ucraina “democratica” affermano spavaldamente che la Russia non ha alcun diritto di impedire una libera scelta del governo di Kiev dopo che questo ha deciso di aderire all’alleanza militare della NATO (lo hanno perfino inserito nella loro Costituzione). Tanto meno, Mosca avrebbe il diritto di far valere una sua “preoccupazione per la propria sicurezza”. Al contrario, se la Russia accettasse l’idea che i suoi vicini sono pienamente sovrani e liberi di decidere con chi allearsi non ci sarebbero mai stati problemi. Peccato che a Washington la pensino in questo modo solo quando la cosa riguarda altri. Mai, invece, se la cosa riguarda la “sicurezza” degli Stati Uniti.
Escludiamo pure, per brevità e per attuale inverosimiglianza, l’ipotesi (seppur possa essere un ottimo esempio) di un Messico che voglia magari aderire ad un’alleanza con la Cina. Leggiamo invece un recentissimo Comunicato del Dipartimento della Difesa americano in merito alla possibilità che i cinesi possano aprire una loro base militare sulla costa dell’Africa occidentale. Badate bene, non vicino ai loro confini ma sull’altra costa dell’Atlantico distante migliaia di chilometri. In data 17 marzo scorso quel Dipartimento, in una nota ufficiale, ha evidenziato le parole del generale Stephen J. Towsend, comandante del Comando US-Africa: “Sono molto preoccupato in merito a questa base militare sulla costa Atlantica e dove loro sono più avanzati ad oggi è la Guinea Equatoriale”. Il Dipartimento aggiunge che quella base navale militare “minaccerebbe la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Come risposta a quella “minaccia” per ora gli USA hanno mandato una delegazione “interagency” in quel Paese per discutere con il locale governo le preoccupazioni relative alla sicurezza americana. Se non riuscissero a convincerlo a recedere da quell’accordo cosa faranno? Una “rivoluzione arancione” oppure un semplice colpo di stato? L’esperienza in questo tipo di operazioni non manca.
Ovviamente, per noi che siamo parte dell’occidente, la sicurezza degli Stati Uniti suona più importante della sicurezza dei russi, ma non sarebbe corretto cacciare la testa sotto la sabbia e far finta che le nostre siano le uniche preoccupazioni legittime. Se crediamo davvero che sia solo la garanzia per la nostra sicurezza a essere legittima potremmo trovarci poi a piangere sul latte versato. Esattamente come oggi succede in Ucraina.
Tuttavia, qualcuno sostiene che quella in atto è una guerra tra la “democrazia” e l’”autoritarismo” e noi (i “democratici”) tutti ci dobbiamo battere contro quest’ultimo. Il ricorso a questa lettura sembra voler far rinascere la contrapposizione passata tra il “mondo libero” e il “comunismo”. In quel caso però era evidente e perfino dichiarato che ognuno dei due “blocchi” ambiva ad occupare gli spazi politici dell’altro nel panorama mondiale. Oggi la situazione è ben diversa: nemmeno la Cina, che pur sta espandendo i suoi artigli in tutti i continenti, sta imponendo, e nemmeno proponendo, il proprio “sistema”. Il suo obiettivo è l’egemonia mondiale economica e politica ma dei “valori” altrui se ne frega.
Per la Russia il problema è ben lontano dal voler espandere la “russicità”, ma è piuttosto quello di ricostruire un “sentimento nazionale comune” al proprio interno e di dare una qualche modernità alla propria economia. La sua presenza, anche bellica, in teatri lontani dalla madrepatria è funzionale a voler recuperare un qualche ruolo politico internazionale (perduto oramai da tempo) che rispecchi la sua dimensione territoriale e le enormi risorse in suo possesso che sente minacciate da ambizioni economiche altrui. Di certo, prima o poi, dovranno fare i conti per questo anche con i cinesi. Comunque sia, ammettiamo che l’occidente stia solo battendosi per difendere i valori della democrazia liberale.
Perché allora, nella sua recente conversazione telefonica con il cinese XI, Biden ha sottolineato che gli USA non hanno alcuna volontà di cambiare il “sistema” cinese e che nemmeno sono interessati alla “indipendenza di Taiwan”? Qualcuno a Washington si è ora convinto che in Cina ci sia la democrazia liberale? O forse per gli USA l’interesse per tale forma di governo fa parte della famosa “doppia morale”? Come la mettiamo con gli “amici” che da questi valori sono sempre stati lontani o se ne stanno allontanando? Turchia, Arabia Saudita, Polonia, Ungheria ecc. sono solo alcuni degli esempi. Li stiamo combattendo o li consideriamo “amici” perché ci fa comodo?
Arriviamo infine alle voci, da una parte e dall’altra, che accusano il nemico di atrocità, o perfino di sadismo, nell’uccisione di donne e bambini. I manichei accusano solo i russi di colpire scuole e perfino asili nido e i nostri media ci mostrano soltanto le distruzioni causate dai loro bombardamenti. Che ciò avvenga, propaganda permettendo, è probabile. Eppure, vogliamo tacere che nei precedenti sette anni di guerra nel Donbass sono morte 13mila persone (compresi donne e bambini) e che a causare quelle morti furono (e sono ancora oggi) bombe dell’esercito ucraino? Oppure pensiamo che i morti di quella regione si siano tutti suicidati? Perché in occidente nessuno lo ha documentato o vi ha dato una qualche importanza?
La realtà è che ogni guerra, chiunque sia a sparare, porta morti e distruzioni ed è per questo che il mondo di oggi la aborre. Quando si spara non ci sono i buoni e i cattivi: sono tutti criminali.
Chiudo citando un’osservazione di un giornalista abituato, come inviato sul posto, ad assistere a tanti eventi di guerra. È Toni Capuozzo, che si esprime su quello che gli ucraini han comunicato al mondo in merito all’assedio di Kiev: “L’assedio di Kiev, di cui non si vantano i russi ma di cui si lamentano gli ucraini, che assedio è se i leader di Slovenia, Repubblica Ceca e Polonia arrivano in città in treno? Se funzionano i telefonini e c’è acqua e corrente elettrica? È il primo assedio soft della mia vita”. Ecco qualcuno che cerca di pensare con un po’ di obiettività, senza ascoltare soltanto la propaganda ucraina distribuita dai nostri giornali e dalle nostre televisioni.
*Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali