A dodici mesi dallo scoppio della guerra in Ucraina gli Stati Uniti si confermano come il primo contributore mondiale al governo di Kiev in termini di aiuti militari, finanziari e umanitari. In particolare, la spesa prevista per il sostegno all’esercito ucraino è anche la più alta mai stanziata dalla Casa Bianca. Ad analizzare numeri e dati è il Kiel Institute for the World Economy, un centro di ricerca indipendente con sede in Germania.
Secondo il Kiel, l’amministrazione Biden e il Congresso hanno mobilitato risorse pari a oltre 73 miliardi di euro, la cifra più alta. Di questi, 44,3 miliardi destinati all’assistenza militare, 25,1 miliardi in aiuti economici e 3,72 miliardi per gli interventi umanitari. Ciò si traduce in una spesa pari allo 0,367% del Prodotto interno lordo. Così, se Washington è primo per stanziamenti in termini assoluti, scivola invece al quinto posto per quota di aiuti in rapporto al Pil tra gli alleati di Kiev, dove in testa si collocano quelli che confinano direttamente con la Federazione Russa: al primo posto c’è l’Estonia con l’1,071%, seguita da Lettonia (0,975%), Lituania (0,652%) e Polonia (0,626%).
In termini di aiuti monetari lo scenario però cambia. Gli Stati Uniti sono seguiti dall’Ue con 35 miliardi, che consistono principalmente in aiuti finanziari (30,3 miliardi), militari (3,19 miliardi) e umanitari (1,60 miliardi). Tra i Paesi membri, la Germania è il primo con 6,16 miliardi di euro e il solo ad aver destinato una quota superiore agli aiuti umanitari (2,5 miliardi), rispetto agli aiuti militari e finanziari (rispettivamente pari a 2,36 e 1,30 miliardi di euro). Il Regno Unito invece risulta al terzo posto nella classifica globale, tra l’Ue e la Germania, con 8,31 miliardi di euro totali che si dividono in 4,89 miliardi di aiuti militari, 3,02 miliardi in aiuti finanziari e 400 milioni per il sostegno umanitario. L’Italia si colloca all’undicesimo posto – tra il Giappone e la Svezia – con 1 milardo e 23 milioni di euro, costituiti principalmente in aiuti militari (661 miliardi di euro), finanziari (52 milioni) e umanitari (52 milioni). In termini di rapporto tra aiuto e Pil, il nostro Paese ha mobilitato lo 0,057%, collocandosi al 23esimo posto nella classifica globale stilata dall’Istituto Kiel.
Tali numeri confermano un tendenza che negli ultimi undici anni procede verso un aumento della spesa militare globale – che comprende quindi anche Russia e altri Paesi schierati con Mosca o rimasti neutrali – pari allo 0,7% nel 2021 e del 12% rispetto ai dati del 2012, stando allo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Ciò segna “un record assoluto dal 1987, con un trend di crescita pari a oltre 2,1 trilioni di dollari (che equivale al 2,2% del Pil mondiale)”. L’Istituto chiarisce che la guerra russo-ucraina non è il solo fattore – incide ad esempio l’emergere della Cina, percepita come una minaccia globale da molti Paesi, primo tra tutti gli Stati Uniti – ma certamente sta contribuendo a una nuova “corsa al riarmo”. Per i ricercatori la tendenza registrata è “sorprendente” dato che “coincide anche con la crisi finanziaria globale del 2008 e con la pandemia di Covid-19 del 2020”.
Sollecitata sul tema, all’agenzia Dire Gabriela Iveliz Rosa Hernßndez, ricercatrice presso l’Arms Control Association, dichiara: “L’invasione russa dell’Ucraina ha sconvolto l’ordine di sicurezza europeo e ciò ha spinto molti Paesi a investire di più in difesa e sicurezza”. Col proseguire del conflitto, “gli stati, inclusi Stati Uniti ed Europa, cercheranno modi creativi per colmare le falle nella difesa mentre le scorte di munizioni si riducono”.
Ma nell’attuale contesto di una “guerra calda”, prosegue Hernßndez, “Washington e i suoi alleati possono adottare una serie di misure per evitare uno scontro diretto con Mosca, pur continuando a sostenere l’Ucraina. All’inizio della guerra, ad esempio, il Pentagono e il ministero della Difesa russo hanno creato una hotline per la risoluzione dei conflitti. Inoltre, il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu e il segretario del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin hanno parlato più volte” così come “il capo di stato maggiore congiunto Usa Mark Milley e il capo di stato maggiore russo Valery Gerasimov. Tuttavia, per funzionare, ogni via per la risoluzione del conflitto deve prevedere comunicazioni costruttive, impedendo l’espansione della guerra”.
Al momento però, ogni prosepettiva di negoziato risulta ferma, sebbene ci sia chi invochi un’azione internazionale che porti Mosca e Kiev a sedersi intorno a un tavolo sotto l’egida delle Nazioni Unite. Secondo Hernßndez, un organismo che potrebbe facilitare questo lavoro di riavvicinamento è l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che conta 57 Stati membri tra cui la Russia.
Il principale organismo che lavora a stabilità e pace nella regione nel suo ultimo vertice dell’1 e 2 dicembre a Lodz, in Polonia, per la prima volta ha fallito l’obiettivo di approvare un budget da 143 milioni di dollari, in seguito al veto di Russia, Armenia e Azerbaigian. Ciò renderà impossibili diverse azioni, tra cui l’elezione del presidente dell’Osce per il 2024 e il mandato per una missione speciale di monitoraggio in Ucraina. Tale vertice ha segnato un altro “primato”: l’esclusione di un ministro, dopo la decisione delle autorità di Varsavia di negare il visto di ingresso al ministro degli Esteri russo Serjei Lavrov.
La ricercatrice dell’Arms Control Association continua: “La decisione della Russia di invadere l’Ucraina ha ostacolato la capacità dell’Osce di proseguire un dialogo costruttivo tra la Russia e i membri della Nato”, tuttavia “preservare l’azione dell’Osce è fondamentale: potrebbe svolgere un ruolo importante nel nuovo ordine di sicurezza che emergerà nei prossimi anni”. Oltre a condannare l’aggressione all’Ucraina e poi il veto della Russia al budget dell’Osce, alcuni Paesi hanno anche contestato l’esclusione di Lavrov dal meeting, ricordando che il conflitto in Ucraina non è l’unico focolaio di crisi in Europa.
Sul punto, Hernßndez ricorda infatti che l’Osce “svolge un lavoro di mediazione in Moldavia, dove si impegna con le autorità de facto in Transnistria, e poi in Georgia, dove l’organizzazione facilita il dialogo tra Tbilisi e l’Ossezia meridionale. Prima della guerra del 2020- conclude l’esperta- l’Osce ha infine giocato un ruolo chiave nel mediare tra Baku e Yerevan, nell’ambito del conflitto nel Nagorno-Karabakh”.