In ogni guerra in ogni epoca e chiunque fossero i combattenti, cosa evidenziare e cosa negligere, come presentare vittorie e sconfitte nel racconto degli eventi, e soprattutto denunciare le malefatte e l’inumanità del nemico, sono sempre stati metodi abbondantemente usati da tutti. L’attuale guerra in Ucraina non è da meno e la diffusione enorme delle informazioni grazie ad internet non ha fatto che potenziare questo aspetto del conflitto.
Pur non partecipando direttamente ci si sente coinvolti in un certo modo, si finisce col parteggiare per l’uno o l’altro dei contendenti. In questo caso ogni lettura dei fatti si radicalizza e spesso anche i più solitamente obiettivi tra gli analisti ne rimangono vittima, magari senza avvedersene.
Naturalmente c’è, anche tra gli studiosi, chi è in malafede e per qualche tornaconto personale o semplicemente per stare con chi sembra più forte mistifica drasticamente gli avvenimenti e abbandona a priori ogni tentativo di studiare e riferire l’accaduto con freddezza di giudizio.
In particolare, sono i politici a non sottrarsi a questi meccanismi e tendono a giustificare le loro scelte usando motivazioni che possono portare loro più consensi e approvazione. In realtà sia i politici seri che gli analisti sanno bene che, di là degli argomenti della propaganda o delle versioni di comodo, le ragioni che ispirano le scelte di politica estera di ogni Stato riguardano sempre e soltanto ciò che si pensa essere l’interesse nazionale.
Ciò appurato, occorre tuttavia precisare che anche all’interno di uno stesso Stato non tutti necessariamente concordano su dove stia tale interesse e, anche nella possibile unanimità su di questo, può succedere ci siano opinioni differenti su quale sia la strada migliore per perseguirlo di fronte a determinati eventi. Ogni governo, in qualunque Paese del mondo, cerca di ottimizzare l’interesse egoistico nazionale ma, nel farlo ha sempre bisogno del consenso dei propri concittadini e deve giustificarsi anche agli occhi degli “stranieri”.
È per questo motivo che nessuno mai ammette pubblicamente che le decisioni assunte sono puramente “pro domo loro” e si inventano motivazioni più “nobili” per preparare le opinioni pubbliche ad accettare scelte di per sé potenzialmente impopolari. Per comprendere la cosa, è possibile ricorrere ad uno dei numerosi esempi nella storia recente: il presunto genocidio dei kossovari ha “giustificato” i bombardamenti NATO della Serbia e la creazione di un nuovo Stato quale il Kossovo.
Che nessun genocidio fosse in corso era stato dichiarato, ancora prima dell’inizio delle ostilità dagli osservatori OSCE presenti in loco, ma costoro furono subito richiamati “per motivi di sicurezza” e messi a tacere. Poi si ricorse ad una diffusa campagna di stampa che confortava la tesi del genocidio con l’esibizione di fotografie satellitari che mostravano cumuli di terra immediatamente identificati come “fosse comuni”. Cominciarono allora i reportage di giornalisti complici o spesso fortemente “influenzati” che diffondevano racconti di violenze atroci, di stupri e omicidi che non potevano lasciare insensibili i tanti lettori. La guerra quindi poté scoppiare con il consenso pressoché generale delle popolazioni dei Paesi attaccanti.
Non importa che, finiti i bombardamenti, l’equipe di medici internazionali inviati dal Tribunale dell’Aia per raccogliere prove per l’incriminazione dei “criminali di guerra” scoprisse che la gran parte delle presunte fosse comuni fossero soltanto terra smossa ad arte: l’operazione era stata fatta e ben riuscita! E il Kossovo indipendente poté nascere (e con lui la più grande base militare americana in Europa). Un altro esempio utile fu la storia delle “armi di distruzione di massa” possedute da Saddam Hussein. Anche in quel caso si diffusero fotografie da interpretarsi come prova di quanto si andava dicendo e si ricorse a “fughe” di notizie di ipotetici servizi segreti che confermavano quanto ufficialmente sostenuto. La guerra iniziò, arrivò al desiderato esito e poco fu importante che di quelle presunte “armi” non si trovò poi alcuna traccia.
Il meccanismo psicologico per cui anche i più truci comportamenti “devono” essere rivestiti da motivazioni nobili e condivisibili è piuttosto complesso e sarebbe troppo lungo starne a discettare qui e ore. Basti ricordare che già Voltaire e Nietzsche avevano dimostrato come fosse nella natura umana dover “sublimare” i più egoistici impulsi travestendoli da sentimenti più “accettabili”, e il filosofo tedesco-americano Leo Strauss arrivò anche a giustificare come per ogni governante fosse necessario mentire ai propri governati pur di mantenere il consenso. La sola sua preoccupazione era che i “valori” propugnati fossero sufficientemente credibili e accettabili dalla maggior parte della popolazione. La “esportazione della democrazia” attraverso la forza se necessario, il “rispetto dei diritti umani”, la richiesta di “libertà” e il naturale (e comprensibilissimo) ribrezzo nei confronti dell’assassinio di bambini inermi sono da un po’ di tempo argomentazioni usati efficacemente allo scopo.
La propaganda dunque è indispensabile per far passare i dovuti messaggi e anche l’aggressore più feroce tende sempre, e ovunque, a farsi passare come difensore di quegli o altri “valori comuni”. Mai si presenterà come primo attaccante. Se al contrario ammettesse che l’aver compiuto atti ostili contro qualche altro popolo fosse motivato soltanto da un semplice “interesse nazionale”, non solo raccoglierebbe meno consensi in patria ma susciterebbe sentimenti negativi anche in popolazioni inizialmente “neutrali”.
Purtroppo chi osserva gli eventi con freddezza e senza lasciarsi conquistare dai messaggi propagandistici sa che esiste la Realpolitik ed è obbligato a cercare, e quindi trovare, le vere ragioni di quanto accade. In particolare se si tratta di un politico o di un analista intellettualmente onesti non possono che tenerne conto.
A questo punto l’analisi deve rinunciare ad assecondare le più naturali reazioni sentimentali e cominciare ad interrogarsi non solo su quali siano i veri interessi che hanno spinto a certe azioni, ma soprattutto se le mosse intraprese corrispondano o meno ai reali interessi nazionali dei vari Paesi coinvolti.
In merito alla guerra in corso in Ucraina chi scrive non vuole ora tirare conclusioni, ma si lascia piuttosto il compito ad ogni singolo lettore.
Si ponga, chi legge, queste semplici domande e ne cerchi la risposta:
– Quali sono state le ragioni per le quali la NATO (e quindi gli Stati Uniti) ha deciso che la Russia andasse “contenuta”?
– Perché almeno dal 1994 gli USA sono presentissimi in Ucraina, ufficialmente e tramite ONG presunte indipendenti?
– Perché hanno collaborato all’organizzazione delle manifestazioni di piazza Maidan e al conseguente colpo di stato?
– Come mai coloro che oggi giustamente si indignano per le uccisioni e le distruzioni causate dalle artiglierie russe sui poveri ucraini sono invece rimasti silenti quando erano le artiglierie ucraine (dal 2014) a fare le stesse cose contro i gli ucraini di etnia russa nel Donbass?
– Corrisponde concretamente all’interesse americano, vista la concorrenza sempre più forte della Cina, spingere la Russia nelle braccia di quest’ultima? Non è una contraddizione?
– Quale Paese europeo trova il proprio interesse nazionale, sempre che ci sia, ad isolare la Russia a favore dell’Ucraina?
– Sono inevitabili e necessarie le sofferenze che i popoli europei devono sopportare per voler rinunciare a gas e petrolio russi a buon mercato?
– L’invasione russa dell’Ucraina aveva alternative, e quali? O siamo davvero di fronte a una decisione di un pazzo scatenato desideroso soltanto di passare alla storia come un novello conquistatore?
Naturalmente queste domande sono solo l’inizio di una ricerca che potrebbe andare molto più a fondo. Ad esempio, perché non si riesce a formare un esercito europeo? Oppure, come mai tutti i leader degli attuali Paesi europei sono così concordi sul da farsi in questa guerra pur dissentendo su tutto il resto?