Buongiorno a tutti e grazie di questa mattinata molto utile di ascolto e di confronto. Sono le due meno dieci e c’è un certo appetito in sala. Poiché ci è stato ricordato autorevolmente che con la cultura non si mangia, devo fare in fretta, in modo da poter riassumere poche cose, ma consentirvi di pranzare.
Naturalmente, come è stato ricordato da Roberto Napoletano pensando a questi quattro anni, quando Il Sole 24 ORE, in modo un po’ avventuroso e profetico, non capito, ha collegato economia e cultura, questo sembrava davvero un messaggio un po’ stravagante. Io penso che dei passi in avanti siano stati fatti.
Ci sono molte cose che non vanno, non c’è dubbio. Se io mi mettessi a elencare le cose che non vanno nella Pubblica amministrazione o nel mio Ministero, batterei Emmanuele Emanuele dieci a zero. Garantisco, però, che è molto più difficile cambiare le cose che raccontarle e noi siamo qui per cambiare le cose, faticosamente, dentro le regole della Pubblica amministrazione (Applausi) e rifiutando la semplificazione di fare di ogni erba un fascio. Nel mio Ministero ci sono persone che fanno così così e ci sono persone che per poche risorse, spesso maltrattate, umiliate e poco pagate, fanno un lavoro straordinario. È così tra i medici, tra gli imprenditori, tra i giornalisti, tra i banchieri, tra gli avvocati (Applausi). Non si può fare di ogni erba un fascio.
È trascorso più di un anno, perché era il mese di giugno dell’anno scorso. Un anno e qualche mese dopo, più che venire ad enunciare le cose da fare, penso sia più utile che io cerchi di rendere conto di quello che abbiamo fatto, partendo da un dato di fondo. Dopo anni di tagli molto dolorosi, in particolare nel 2008, con un calo progressivo dal 2000 al 2013, finalmente c’è stata un’inversione.
Non sto dicendo che non ci sono stati i tagli, ma che vi è stata un’inversione di tendenza in una stagione che ha ancora al centro la spending review. Leggo i numeri delle tabelle depositate al Senato, non quelli scritti sui giornali. Nel 2015, il bilancio del mio Ministero, quindi il bilancio del 2014, fatto nella stabilità dall’anno scorso, era 1,567 milioni; nel 2016 è 1,687 milioni; nel 2017 è 1,867 milioni; nel 2018 è 1,872 milioni. L’aumento del 2016 sul 2015 è del 7,6 per cento; poi più 19 per cento e più 19 per cento.
Non basta. Certo che non basta. Le risorse che servono, per la vastità del nostro patrimonio, per un investimento in cultura devono essere sempre di più, ma c’è un’inversione di tendenza molto significativa se il bilancio del Ministero aumenta dell’8, del 19 e del 19 per cento in tre anni. Credo che sia un segnale del fatto che non si tratta di una mia battaglia. Ringrazio delle felicitazioni e dei complimenti, davvero, perché sono spontanei, ma non è una mia battaglia. Si tratta di una scelta del Governo, perché la legge di stabilità l’ha fatta il Governo.
Naturalmente, gli altri Ministri ed io abbiamo chiesto più risorse. Finalmente, dopo tanto tempo, c’è la convinzione che bisogna investire consistentemente. Non faccio l’elenco. Ringrazio il professor Emanuele per aver elencato una serie di temi: l’Art Bonus, il patrimonio. Questo non è stato detto: ci sono 150, 165 e 170 milioni che non c’erano − è un fondo nuovo − per gli interventi sul patrimonio; i 25 milioni in più per il tax credit del cinema; la conservazione delle risorse per lo spettacolo e il cinema del FUS; 10 milioni per la promozione turistica; 20 milioni in più per i musei; 45 milioni in più per il settore più maltrattato, più ignorato, eppure il più importante, quello che riguarda biblioteche, archivi, istituti culturali, istituti storici. Vengono triplicate le risorse.
Soprattutto, c’è una norma nuova, che si aspettava da anni in un Ministero, che ha un’età media attorno ai sessanta anni, che non assume da tanto tempo. Io ho chiesto una deroga alle regole, che restano vigenti, che limitano o vietano le assunzioni nella Pubblica amministrazione, perché prima dobbiamo assorbire, comprensibilmente, il personale delle Province. Vi è una deroga per il mio settore. Non l’ho chiesta per i custodi o per gli amministrativi, ma la norma prevede che potremmo assumere − nel 2016 si farà un concorso – 500 archeologi, archivisti, bibliotecari, storici dell’arte, antropologi, restauratori, cioè tutte quelle professionalità per cui tanti ragazzi italiani hanno studiato negli anni senza trovare uno sbocco professionale. Sarà un grande rinnovamento, perché con quei numeri si coprono tutti i posti vacanti in pianta organica del Ministero rispetto a quelle professionalità. Quindi, non è un numero a caso. È un numero che copre tutti i posti vacanti.
Le altre iniziative che stiamo portando avanti sono contestuali. Le cito. Penso al fatto che, partendo da quel brutto episodio delle file davanti al Colosseo, quindi l’esigenza di introdurre regole, il fatto che nel nostro Paese, in Parlamento, in queste ore si stia discutendo positivamente in merito al fatto che i musei e i luoghi della cultura diventino servizi pubblici essenziali, come gli ospedali, come le scuole, come i trasporti, mi pare una grande conquista di civiltà, soprattutto in un Paese come l’Italia. Addirittura, è stato esteso in Parlamento che i livelli essenziali delle prestazioni valgono anche per i servizi culturali, il che mi pare una significativa inversione di tendenza.
Quando sono venuto qui l’anno scorso ho cercato di dire che noi avremmo provato a rompere tre tabù. Cerco di essere rapido. Il primo è il legame, quasi da vergognarsene, tra cultura e turismo. Questo è il lavoro che abbiamo cercato di svolgere. Mescolare le azioni che si portano avanti per la cultura e le azioni che si portano avanti per il turismo non è facile. È naturale. Nelle scelte che opero durante il giorno fatico. Non riesco a capire. Lo faccio come Ministro della cultura o come Ministro del turismo. Se recupero il patrimonio, salvo il patrimonio, ho qualche cosa da valorizzare e su cui investire. Se faccio promozione e valorizzazione trovo le risorse per restaurare e recuperare il patrimonio.
È davvero tutto mescolato, così come sono mescolate le cose che sono state tenute troppo a compartimenti stagni. Oggi le ragioni di un viaggio o la ricerca in Italia dell’eccellenza e della qualità sono sicuramente nell’arte e nel patrimonio culturale, ma sono anche nell’enogastronomia, nella moda, nello shopping, nell’artigianato. Quindi, mescolare tutto insieme vuol dire costruire un’offerta di eccellenza e di qualità che non ha eguali al mondo.
Anche per questo, siamo il primo Paese che ha approvato un PON nazionale cultura. Si tratta di 490 milioni, per legge destinati al Mezzogiorno. Abbiamo messo 370 milioni per il recupero del patrimonio e per la prima volta 114 milioni per l’industria culturale e creativa, perché bisogna far nascere un’imprenditorialità che sia legata a questo confine tra cultura e turismo.
Nei Fondi sviluppo e coesione, facendo diventare la cultura e il turismo due degli asset centrali del Governo, per la prima volta abbiamo disegnato 25 grandi attrattori culturali. Le risorse non sono destinate solo al restauro del bene – uno dei 25 è la Reggia di Caserta – ma una parte rilevante di esse è destinata a tutto ciò che deve avvenire fuori da quel bene: infrastrutture, trasporti, viabilità,parcheggi, ristoranti, alberghi. Naturalmente questa parte non può essere realizzata dal pubblico. La prima parte, il recupero del bene, è realizzata dal pubblico, mentre la seconda parte va fatta necessariamente insieme al privato.
In questo schema rientra l’ENIT. Purtroppo è tardi. Mi è stato posta questa domanda. L’ENIT è stato commissariato un anno, ne è stato riscritto lo statuto ed è stato rifinanziato. I dipendenti per la prima volta sono stati messi di fronte a un’opportunità: restare nella pubblica amministrazione, con le regole e le garanzie della pubblica amministrazione, o andare in un ente pubblico economico, con le regole dell’ente pubblico economico. Hanno scelto tutti di stare nella pubblica amministrazione.
Dunque, adesso abbiamo una nuova governance, un amministratore delegato che viene da un’azienda privata e che ha scelto di venire nel pubblico, e una presidente importante come Evelina Christillin. Mi pare che la nuova governance, le nuove regole e le nuove risorse consentano di ripartire in modo significativo. Mentre noi siamo qua, c’è il consiglio di amministrazione riunito per partire con questo impegno.
Passiamo al secondo tabù: tutela e valorizzazione. Tutta la riforma è stata destinata a rompere questo tabù. Oggi le soprintendenze si occupano di tutela del territorio, non si occupano più di valorizzazione e di sistema museale.
Io ho sentito il bellissimo dibattito di questa mattina e apprezzavo il tema della governance e del privato che entra nel consiglio di amministrazione. È un dibattito bello, ma abbiamo dimenticato il punto di partenza: fino alla riforma, cioè fino a qualche mese fa, i musei statali, compresi Brera gli Uffizi e tutti i grandi musei, non esistevano. Erano semplici uffici gerarchicamente dipendenti dalle soprintendenze, diretti da un funzionario che prendeva 1.600 euro al mese, senza budget, senza bilancio, senza statuto, senza autonomia, senza consiglio di amministrazione, senza comitato scientifico.
La riforma ha fatto notizia per i venti direttori scelti con la procedura internazionale, che ha portato venti personalità importanti, ma quello è il passaggio finale. Oggi, dopo la riforma, i musei hanno un bilancio, hanno autonomia fiscale e contabile e avranno tutti uno statuto. Ieri abbiamo nominato i direttori – in questo caso dentro l’amministrazione – degli altri 120 musei. Si tengono finalmente gli incassi dei biglietti e degli affitti, che fino a un anno fa andavano tutti a finire in un unico capitolo del Ministero dell’economia e delle finanze. Di conseguenza, per il direttore del museo vendere 5.000 biglietti o 50.000 non cambiava niente. Era l’opposto di un meccanismo virtuoso. (Applausi)
In seguito discuteremo di come allargare e coinvolgere, ma in questi giorni, per la prima volta, con un ritardo di circa 60-70 anni, ognuno di questi venti musei autonomi ha un consiglio di amministrazione, un comitato scientifico e un collegio di revisori dei conti. Lo dico a scanso di dubbi: non ci sono politici riciclati nei consigli di amministrazione. Tranne una persona che viene dal ministero, che è il responsabile del polo museale regionale, per una ragione di collegamento, le altre sono tutte professionalità del mondo dell’economia, del mondo della cultura,del mondo della storia dell’arte e del mondo dell’università. Vedrete le competenze man mano che li insedieremo.
Andiamo esattamente in una direzione che si sarebbe dovuta imboccare qualche decennio fa, che porta a rendere il nostro sistema museale più competitivo. Ci vorrà del tempo. Non c’è la bacchetta magica per cambiare un sistema così profondo, anche perché nella pubblica amministrazione bisogna operare con le persone che si hanno. Queste sono le regole generali, tant’è vero che per fare quell’operazione dei venti direttori l’anno scorso abbiamo dovuto approvare una norma di legge, che ha consentito una procedura particolare. Mi pare che i risultati stiano arrivando. Nel 2014, anno di crisi, anche se la riforma dell’entrata nei musei è arrivata a luglio, quindi ha funzionato metà anno, nei soli musei dello Stato abbiamo fatto 2,6 milioni di visitatori in più dell’anno precedente e abbiamo superato la barriera dei 40 milioni. Abbiamo fatto più dei cinque più grandi musei del mondo messi insieme, solo con i Musei dello Stato, che sono un decimo dei musei che ci sono nel nostro Paese.
La Domenica al museo è un successo enorme, soprattutto perché riavvicina la gente al patrimonio. Ormai quasi un milione di persone ogni prima domenica del mese va gratis nei musei, e naturalmente ci va con la famiglia, ci vanno i cittadini molto più che i turisti. È insieme un fattore educativo e un fattore di sviluppo economico, perché se mette in moto un milione di persone poi vanno al ristorante, vanno al bar, prendono la macchina, consumano e qui mi pare davvero che ci sia questa situazione.
Terzo tabù: non abbandono la collaborazione totale pubblico-privato. Il patrimonio si chiama dell’umanità, ci dice l’UNESCO. Se è dell’umanità, bisogna collaborare tutti, pubblico e privato, cercando di superare le difficoltà. (Applausi)
Ho ascoltato Diego Della Valle e so cosa vuol dire aver scelto di finanziare il Colosseo e poi, per cose che possono succedere solo in Italia, essere attaccati per questo, non ringraziati per questo. Quella stagione è chiusa. Quella, oltretutto, è stata un’operazione ancora più meritoria perché fatta prima che ci fosse l’incentivo fiscale, prima che ci fosse l’Art Bonus. Tuttavia, quella barriera va rotta per creare una collaborazione in cui ognuno fa la propria parte. Se il pubblico ha molte lentezze non c’è dubbio e del resto la macchina deve abituarsi a ricevere donazioni. Non a caso i 34 milioni di euro che sono arrivati nelle casse dello Stato o dei Comuni nei primi mesi di applicazione dell’Art Bonus in gran parte sono di donazioni comuni, perché i Comuni erano già pronti ad avere le strutture per ricevere donazioni.
Lo Stato è ancora impreparato. Stiamo spiegando alle Soprintendenze, alle nuove gestioni dei musei, come fare per raccogliere risorse. Però, da parte dei privati, pur essendo l’Art Bonus in vigore da un anno e mezzo, non ho la fila davanti all’ufficio. Non vengono tutti i giorni a litigare per salvare la Domus Aurea o altro. Ci sono degli imprenditori che meritoriamente l’hanno fatto e continuano a farlo.
Vorrei su questo – condivido assolutamente la proposta di Della Valle – mettermi intorno a un tavolo. Io vorrei che ogni grande impresa italiana, le venti imprese italiane più grandi, ognuna facesse il main partner di uno dei 20 musei autonomi e legasse il suo nome ad esso. Non è una sponsorizzazione, ma se tu leghi il tuo nome agli Uffizi, a Capodimonte, a Brera o al Museo archeologico di Reggio Calabria, fai una cosa che fa bene al tuo Paese e fa bene a te. Per questo continuo a pensare che l’aspetto più importante dell’Art Bonus non sia l’incentivo fiscale. Quello è un grande aiuto, ma il mecenatismo, se è mecenatismo puro, non dovrebbe nemmeno aver bisogno dell’incentivo fiscale. È importante il passaggio pedagogico: abituare i cittadini a donare, avvicinarsi alla cultura del crowdfunding, fondare associazioni di Amici dei musei, sentire come elemento di legame con la propria comunità, aiutare il Museo a restaurare il monumento, a intervenire sulla Chiesa e contemporaneamente aiutare le imprese piccole, medie e grandi a capire che in un Paese come l’Italia, un pezzo della valutazione del valore sociale del tuo lavoro, è quanto tu destini al patrimonio del tuo Paese. Give back, dicono gli inglesi.
Vorrei che anche da noi ci fosse questo, ma c’è da lavorare molto: a un certo punto devo restituire al mio Paese perché dal mio Paese ho avuto. Per questa operazione ci vuole del tempo, sia sul fronte pubblico che su quello privato. Anche qui non c’è la bacchetta magica. Nei Paesi come gli Stati Uniti, dove c’è un mecenatismo fortissimo, è stato aiutato da decenni di incentivi fiscali, che hanno riavvicinato, hanno abituato e quindi è un percorso che dobbiamo adottare. Poi arriveremo, andando avanti, all’entrata nella governance.
Il modello Fondazione MAXXI e il modello Fondazione Museo Egizio è uno strumento su cui stiamo lavorando. Adesso lo faremo alla Reggia di Carditello, che lo Stato ha comprato anni fa. Ho firmato un decreto ministeriale e fra pochissimo ci sarà un bando per cui, per la prima volta, abbiamo preso dieci siti dello Stato, che sono o chiusi o quasi chiusi e li metteremo a gara tra organizzazioni no profit. Poi chiederò – lo sto già chiedendo – un sostegno, per esempio, al sistema delle fondazioni bancarie affinché ognuna di loro aiuti, perché se io do il bene a un gruppo di volontariato, ad una associazione no profit magari non ha le risorse per recuperare quel bene. Può gestirlo, ma non ha le risorse per recuperarlo. Cominciamo a vedere come funziona questo sistema. Anche questo, credetemi, è un grande passo avanti.
Penso sempre di più che l’anno scorso, quando siamo andati a giurare nelle mani del Presidente Napolitano, e i giornalisti entrando mi hanno chiesto, sapendo che ho fatto diverse cose nella mia vita parlamentare e politica, come si sente a fare il Ministro della cultura e io ho detto: «Mi sento chiamato a guidare il Ministero economico più importante del Paese», per me non era una battuta. Mi fa piacere che il lavoro de Il Sole 24 ORE e molte parole che abbiamo sentito oggi contribuiscano a far capire al Paese che noi abbiamo un’opportunità straordinaria, in quanto non capita sempre, perché spesso uno è a un bivio e deve scegliere.
Qui possiamo insieme rispettare, applicare, adempiere al dovere dell’articolo 9 della Costituzione, promozione della cultura, comma 1, tutela del patrimonio storico-artistico della nazione e del paesaggio, comma 2, adempiere a quel dovere costituzionale e contemporaneamente far diventare questo lavoro un contributo formidabile alla crescita economica del Paese, alla creazione di nuova occupazione, e insieme tutelare la nostra storia, la nostra bellezza, i talenti dei nostri giovani e farlo diventare una vocazione del Paese e un modello di crescita economica sostenibile, intelligente come il nostro Paese merita. Penso che tutti insieme non perderemo questa opportunità.
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