Come si è detto (e scritto) tante volte, il Turismo delle Radici è una risorsa. Da un lato, permette agli italiani all’estero e ai loro discendenti di (ri)vedere i luoghi d’origine loro e dei loro avi e, dall’altro, serve a rilanciare il turismo, specie nei piccoli borghi. Infatti, le grandi città, come Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli, hanno sempre una certa visibilità. Sono realtà note al mondo. Invece, un piccolo borgo può non avere la stessa visibilità, a meno che non abbia qualche bene storico o di altro tipo degno di nota. Oltre a ciò, si può dire anche che il Turismo delle Radici possa essere propedeutico alla riqualificazione, alla salvaguardia e al ripopolamento dei borghi che si stanno spopolando o che sono spopolati.
Penso a borghi come Civita di Bagnoregio, borgo noto come la “Città che muore” che si trova in Provincia di Viterbo, e a Pentedattilo, noto paesino della Provincia di Reggio Calabria.
Qui in Italia ci sono tanti borghi che sono ridotti di fatto allo stato di “ghost town”, di città fantasma. Mi vengono in mente borghi come Pietramogolana e Roccaprebalza, frazioni di Berceto, in Provincia di Parma, le frazioni del Comune di Tossicia, in Provincia di Teramo, in Abruzzo, e il già citato borgo di Pentedattilo.
Ho fatto alcuni esempi e ne posso fare altri. Posso citare, per esempio, il borgo di Braia, frazione del Comune di Pontremoli, in Provincia di Massa Carrara, che il 10 dicembre 2018 vide morire la sua ultima abitante, la signora Teresa Pini.
Col Turismo delle Radici non si potrebbe incentivare anche un ritorno degli italiani all’estero e dei loro discendenti proprio per evitare che i borghi storici vadano perduti? Gli italiani all’estero possono portare energia nuova a questo vecchio e stanco Paese.