Nelle ultime settimane, il Ministro italiano dell’economia Giulio Tremonti è stato oggetto di discussioni a seguito delle manovre finanziarie da lui effettuate, quella di luglio e quella attuale in corso di esame al Parlamento. Mentre fino a pochi mesi fa egli veniva elogiato dalla maggioranza e dall’opposizione, e dalle istituzioni europee ed internazionali, per il suo rigore nella tenuta dei conti del bilancio italiano e per la lotta all’evasione fiscale, tanto da ipotizzare la sua ascesa al ruolo di Presidente del Consiglio al posto dell’odiato (dalla sinistra) Berlusconi, ritenuto “ingombrante” anche per qualche settore della maggioranza, ora è considerato l’”uomo nero”, il responsabile della situazione di crisi finanziaria ed economica attuale, il freno allo sviluppo.
Ma è veramente così? Analizziamo serenamente ed obiettivamente la situazione.
Certamente, Tremonti non ha un buon carattere. Ha il piglio del professore saccente, non si sente componente di un partito ma un tecnico specializzato, gestisce in modo indipendente i grandi poteri del suo ministero, ed ha anche commesso degli errori che un uomo politico del suo livello e delle sue responsabilità non doveva commettere, quali l’affidare ad un oscuro faccendiere ex-ufficiale della Guardia di Finanza la responsabilità (ed i poteri impliciti) della sua segreteria e farsi dare dallo stesso la disponibilità di un prestigioso appartamento adiacente al Parlamento. Però, ci sono anche altri aspetti.
Ha una buona e profonda cultura, non solo economica, ed ha scritto dei libri sorprendenti e profetici sul pericolo per l’Occidente derivante da un’economia affidata solo alla finanza, e dall’incombente prevalenza come potenza mondiale della Cina. Basta citarne i titoli e le date di pubblicazione per rendersi conto delle anticipazioni della crisi e delle sue motivazioni che esprimeva. Anno 2000: “Guerre stellari: società ed economia nel cyberspazio”; anno 2008: “Rischi fatali. L’Europa vecchia, la Cina, il mercatismo suicida: come reagire”; anno 2009: “La paura e la speranza. Europa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla”. Chi li ha letti, come il sottoscritto, si rendeva perfettamente conto dell’incombente cambiamento di un’era politica ed economica per tutto il cosiddetto “mondo occidentale”.
Che le politiche di bilancio fino allo scorso anno siano state giuste lo riscontriamo dall’inflazione tenuta sotto controllo, dal finanziamento degli ammortizzatori sociali che hanno impedito la creazione di una massa di disoccupati privi di qualsiasi reddito, dalla necessaria contrazione delle spese della pubblica amministrazione, dalla lotta all’evasione tramite i drastici sistemi di “Equitalia” (società pubblica nata, altra intuizione tremontiana, dall’abolizione del medievale “appalto” alle banche per la riscossione delle imposte), dalla parziale unificazione degli Enti previdenziali con la semplificazione degli organi amministrativi affidati ad un amministratore unico, affiancato dal direttore generale e dai pareri dei “consigli d’indirizzo e vigilanza”.
Vi è poi un’altra importante creazione del ministro dell’economia, e cioè la trasformazione della ottocentesca “Cassa Depositi e Prestiti” preposta solo a concedere mutui agli enti locali, in una società pubblica – con partecipazione di alcune banche – per la possibile partecipazione in imprese importanti per l’economia nazionale, da sottrarre ad appetiti stranieri (voleva tutelare la Parmalat, ma gli accordi di politica internazionale con la Francia lo hanno bloccato).
Certo, vi è un’accusa ricorrente contro Tremonti che non si può contestare: il suo Ministero è troppo potente, controlla tutta la finanza pubblica, e di fatto appare lui essere il vero capo del governo. A parte il fatto che un presidente del consiglio non si occupa solo di finanza ma anche di politica estera, di politica interna, di politica del welfare, e via dicendo, bisogna ricordare che l’unificazione dei tre ministeri preposti alla finanza pubblica – Finanze, per la politica fiscale e riscossione delle imposte; Tesoro, per la distribuzione ai vari ministeri ed enti locali e l’emissione dei titoli di Stato; Bilancio e Programmazione, per armonizzare entrate e spese, ed elaborare programmi pluriennali – fu effettuata da un governo di centro-sinistra, ossia quello di Giuliano Amato del 1999, su proposta dell’allora ministro per la riforma burocratica Franco Bassanini. Il predecessore di Tremonti, Visco, aveva gli stessi poteri, ed anche ora nessun parlamentare, tanto meno quelli dell’opposizione, propone una legge per modificare la n. 50 del 1999 che prevedeva quell’unificazione.
Ora vi è il problema della crisi finanziaria, testimoniata soprattutto dal crollo delle borse, e del debito pubblico italiano che non riesce a diminuire. Questo non può avvenire perché le spese della finanza pubblica, in tutti i suoi mille rivoli, sono superiori alle entrate; ma quando si tocca qualche spesa, si toccano anche degli interessi particolari che protestano e trovano eco nel Parlamento, in tutti gli schieramenti.
Cosa fare, allora? Intanto, bisogna realizzare il pareggio di bilancio, per evitare che si debba coprire il deficit con un ulteriore incremento del debito pubblico. Ma il debito pubblico è coperto dai titoli di Stato, con diverse scadenze. E qui scatta la richiesta di Tremonti, che probabilmente è stata quella che gli ha provocato le critiche interne ed internazionali. Egli sostiene che, se la moneta europea è unica, anche i debiti pubblici degli Stati membri, in una certa misura, debbono far parte della finanza europea. Così, mentre gli Usa coprono il deficit dell’amministrazione federale stampando miliardi di dollari (causa non ultima del declassamento operato da Standard & Poor), la Banca Centrale Europea dovrebbe emettere titoli pubblici europei (gli “eurobonds”) garantiti dalle sue massicce riserve valutarie ed offerti sul mercato dei risparmiatori europei – che in genere lo sono in misura maggiore degli americani – per poi, con il ricavato, comprare i titoli dei singoli Paesi. In altri termini, il finanziamento dei debiti pubblici degli Stati (oltre una certa soglia, che potrebbe essere il 60% stabilito a Maastricht) non dovrebbe essere più affare privato dei singoli Stati ma del sistema monetario europeo.
Alcuni Paesi europei, in primis la Germania, non accettano questa proposta ed affermano che ogni Paese dovrebbe pensare a se stesso: Tremonti vi si oppone, e questa forse è una delle cause delle critiche che riceve. Cosicché, dinanzi a questa situazione non resta altro che cercare di reperire risorse per giungere innanzitutto al pareggio di bilancio, peraltro impostoci dalla “Banca Centrale Europea” (quella che cova nei suoi fortilizi miliardi di riserve inutilizzate), ed è quello che si sta facendo con la manovra finanziaria del 13 agosto, modificata lunedì scorso anche recependo richieste dei Sindacati, degli Enti Locali e di altre parti interessate.
Ma la crisi finanziaria nasce da lontano: dalla crisi degli Usa innanzitutto che hanno inondato il mondo con i loro titoli coperti dalla carta moneta stampata illimitatamente; dalla speculazione finanziaria oggi agevolata dall’informatica; dalla globalizzazione dei mercati, che mette fuori commercio molte delle tradizionali merci esportate dall’Italia e dall’Europa; dalla saturazione dei consumi interni, che non offre sfogo alle produzioni nazionali. Sono problemi di lunga durata, che non si risolvono con una operazione di bilancio azzeccata o con un nuovo ministro, e che possono essere risolti solo con un nuovo accordo mondiale sulla moneta e sulla finanza, una specie di nuova “Bretton Woods” od una modifica dei Trattati europei che crearono l’Euro.
E’ difficile reggere il “timone” della finanza pubblica in queste condizioni, e si corre il rischio di commettere molti errori di valutazione, scontrarsi con molte lobby d’interessi, essere isolati politicamente: ma tutto questo non inficia le qualità finora dimostrate dall’attuale ministro dell’economia.
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