Il dramma delle popolazioni emiliane colpite dal terremoto ha fatto scendere solo per qualche ora la temperatura polemica fra i partiti, perche’, come si e’ visto gia’ ieri, e’ bastato che Napolitano confermasse, sia pure ridimensionata, la parata del 2 giugno per riaccendere subito il fuoco delle polemiche tra favorevoli e contrari. C’e’ da prendere atto che il virus della divisione e’ diventato un elemento costitutivo del quadro politico e della maggioranza che sostiene Mario Monti. Anche se, per segnalare un paradosso dei tanti di questa stagione, il governo non sembra affatto indebolito nella sua azione. La riforma del lavoro e’ al passaggio finale in Senato e vedra’ la luce in tempi stretti dopo la decisione di porre ben quattro fiducie sul provvedimento, la prima delle quali, sull’art. 18, e’ stata votata. Una decisione che in condizioni normali e con un governo politico in carica avrebbe fatto gridare allo scandalo o quanto meno avrebbe segnalato un esecutivo boccheggiante in Parlamento.
Nel caso di Monti non e’ cosi’. Dalla Commissione Ue e’ arrivata oggi una buona riserva di ossigeno al governo con la promozione, accompagnata da qualche riserva, delle misure fin qui prese per il consolidamento fiscale. Ecco allora che l’azione di Monti e’ stata giudicata ‘ampia’ e ‘determinata’ rispetto all’esigenza di mettere in sicurezza i conti pubblici e affrontare le debolezze strutturali. La Commissione europea, pero’, mette in guardia dalla tentazione di relax e stimola l’esecutivo alla ‘corretta implementazione’ delle riforme.
Bisogna accelerare, dice in sostanza Bruxelles nelle sue raccomandazioni, anche per metter mano ai problemi irrisolti che l’Italia si trascina come una palla al piede. Tutto, forse, vero e plausibile ma dove e come reperire le risorse necessarie per superare il ‘dualismo’ secolare tra Nord e Sud? Come convincere i soggetti sociali che il costo del lavoro va allineato alla produttivita’? E come persuadere le forze politiche di maggioranza che la regola aurea del pareggio di bilancio deve valere non solo al centro ma in tutte le articolazioni dello Stato, fino al piu’ remoto dei Comuni?
Il premier non ha enfatizzato la promozione di Bruxelles e con il consueto understatement ha ammesso che pur non vivendo di sola economia, e’ importante pero’ che l’Italia venga percepita ‘come un Paese che e’ su una solida rotta di risanamento’.
Una tappa importante su questa strada e’ il provvedimento sulla spending review all’esame della Commissione Bilancio del Senato. E qui il primo intoppo: la commissione ha sollevato dubbi sull’emendamento dei relatori alla spending review che prevede la certificazione dei crediti delle aziende verso la P.A. e la loro compensazione con le cartelle esattoriali. La commissione ha chiesto al governo una relazione tecnica sull’emendamento. Perche’, se e’ evidente che i tagli alla spesa individuati da Enrico Bondi devono produrre risparmi per 4,2 miliardi, rimane ancora nei cieli dell’iperuranio la questione dei 30-40 miliardi da mobilitare entro fine anno per la compensazione fra crediti e debiti erariali. Ai quali si devono aggiungere le cifre, ancora non definite ma sicuramente importanti, che il governo deve destinare urgentemente per gli aiuti e la successiva ricostruzione delle aree terremotate dell’Emilia. Qui l’Italia sa di poter contare, come ha detto il ministro degli Esteri tedesco Westervelle, sull’aiuto dei partner europei.
Piu’ accidentato appare al momento il percorso degli altri dossier. In primis quello sulle riforme. Come era prevedibile, dopo l’iniziale fuoco di sbarramento, dal Pd arrivano segnali di fumo insieme a una vaga disponibilita’ per una rapida verifica della proposta di Berlusconi-Alfano sul semipresidenzialismo.
Spingono in questa direzione ulivisti come Arturo Parisi e il segretario, sia pure di malavoglia, sa di non dover concedere un vantaggio tattico all’avversario. Lo stesso si prepara a fare la Lega, non piu’ contraria a discutere la proposta di riforma presidenziale. Che forse non fara’ troppa strada, si puo’ immaginare, ma che al momento opportuno potrebbe diventare un ottimo alibi per tutti, si ragiona in ambienti parlamentari, a non fare neppure la riforma della legge elettorale.
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