‘Nessuno dei vostri governi accetterebbe una situazione del genere. E nemmeno noi l’accettiamo. Opereremo per metterle fine’. Benyamin Netanyahu si e’ rivolto cosi’ oggi agli ambasciatori stranieri convocati ad Ashkelon, denunciando la situazione nel sud di Israele, dove negli ultimi giorni sono piovuti piu’ di 100 razzi lanciati da Gaza.
Una realta’ talmente ‘insostenibile’ che, a giudizio di molti, sia analisti sia dirigenti politici, puo’ indurre Israele ad una operazione terrestre nei confronti della Striscia sul modello di ‘Piombo Fuso’, avvenuta tra il dicembre del 2008 e il gennaio 2009 e anche allora diretta contro Hamas.
Del resto Netanyahu – che ha parlato anche degli avvenimenti sul Golan dove Israele ha replicato ad un colpo di mortaio caduto nel suo territorio, centrando obiettivi siriani autori del lancio – ha detto chiaramente agli ambasciatori di non essere disposto a restare inerte davanti un ‘milione di israeliani alle prese con una realta’ impossibile’.
Quella con gli ambasciatori – secondo quanto si e’ appreso – e’ stato dunque un richiamo pubblico al diritto-dovere di uno Stato a difendersi, un’offensiva diplomatica nei confronti di una escalation ‘terroristica’ in modo che il mondo sappia. Il premier non ha certo spiegato come Israele intenda rendere concreto – ed efficace – questo diritto-dovere. Tuttavia, la possibilita’ di un intervento militare contro Gaza resta possibile, specie dopo il fallimento di una tregua che ieri sembrava vicina e che e’ stata vanificata dalla ripresa oggi del lancio dei razzi. E malgrado in serata i due principali movimenti palestinesi di Gaza, Hamas e la Jihad islamica, si sono detti pronti a stabilire una tregua, a condizione pero’ che Israele ‘fermi ogni aggressione’ contro il loro territorio.
Restano anche in piedi le possibili alternative ad un intervento militare: quella di un incremento dei raid aerei (che si sono ripetuti anche la scorsa notte) o l’eliminazione mirata a Gaza dei quadri di Hamas destinata a pagare, secondo il ministro della difesa Ehud Barak, ‘il prezzo forte’. Ma non tutti – come sull’offensiva terrestre – sono d’accordo: il leader laburista Shelly Yacimovich ha detto ad esempio che alla vigilia di elezioni (il 22 gennaio) attacchi o operazioni mirate hanno bisogno ‘di stabilita’ e consenso nazionale in casa’.
‘Penso che un’operazione sarebbe necessaria – ha tagliato corto – ma non ora’. Shaul Mofaz, capo del centrista Kadima (ex capo di Stato maggiore dell’Esercito), ha osservato che la ‘migliore politica per fermare Hamas e’ colpire i leader dell’organizzazione’. Il presidente Shimon Peres alla Cnn ha detto che ‘tutti i fondi ad Hamas devono essere stoppati finche’ continuera’ a colpire cittadini israliani’ ed ha ricordato che ‘Israele ha lasciato Gaza di sua volonta’ e che quindi non c’e’ bisogno di sparare sui residenti del sud’.
Di avviso completamente diverso il presidente della Knesset Reuven Rivlin (Likud) per il quale le elezioni non devono ‘frenare un’operazione su larga scala a Gaza’. Lo stesso, il ministro delle Finanze Yval Steinitz (anch’egli Likud): ‘Sembra – ha notato – non esserci via d’uscita ad una decisione militare su Hamas a Gaza’.
Yediot Ahronot, uno dei giornali piu’ diffusi, ha sottolineato che il dilemma di fronte al quale si trova sia la dirigenza politica israeliana sia lo stesso esercito e’ ‘come creare con abilita’ un’operazione militare limitata in modo che Hamas non sia indotta a pensare di stare perdendo il controllo’. Per il giornale ‘Israele non ha interesse che Hamas sia sostituita da elementi ancora piu’ estremisti.
Un’operazione militare limitata deve raggiungere l’obiettivo centrale: un cessate il fuoco a lungo termine’. Del resto – ha avvertito il giornale – Israele sa benissimo che ‘Hamas detiene un limitato numero di missili Fajr 5 che possono colpire obiettivi non lontano da Herzliya’, a nord di Tel Aviv, ben piu’ lontano dalle cittadine vicino al confine.
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