Avete presente Tafazzi? Era quel personaggio caricaturale televisivo vestito di calzamaglia che saltellando e ridendo si picchiava con forza le sue parti intime, e ne era contento. Ebbene, l’Europa sulla questione ucraina si comporta proprio come Tafazzi. Come spiegare altrimenti quella pazzia collettiva che sembra aver colpito politici, politologi, giornalisti, governi, istituzioni sportive, e perfino il Parlamento europeo che spinge chiunque ne parla nel fare a gara nell’attaccare violentemente la Russia per mostrare solidarietà (e più) all’Ucraina?
Parliamo di due Paesi di cui uno ci è indispensabile per le forniture di gas, petrolio e altre varie materie prime. Un Paese di 150 milioni di abitanti, il più vasto della Terra, legato a noi da vincoli culturali e storici, dotato di una delle due maggiori riserve di ordigni nucleari. Fino a prima che cominciassimo a far di tutto per umiliarli considerandoli un Paese di terz’ordine, i russi erano nella maggior parte sicuri di essere a tutti gli effetti cittadini europei. Verso quel Paese noi italiani esportavamo da soli ben undici miliardi di euro in merci, con la prospettiva di un ulteriore incremento a favore dei prodotti delle nostre aziende. Le prime sanzioni ci hanno ridotto a sette miliardi. Ora le esportazioni addirittura crolleranno del tutto.
L’altro, ricco soprattutto di terre per l’agricoltura (e carbone, che tuttavia avevamo deciso di cancellare dai nostri consumi energetici), con meno di cinquanta milioni di abitanti, bisognosi di finanziamenti a pioggia per sollevarsi dalla miseria in cui i suoi politici incapaci e corrotti dai locali oligarchi li tengono dal momento dell’indipendenza. Tant’è vero che l’Ucraina dal 2014 ha già ricevuto prestiti dall’Unione Europea per 17 miliardi di euro. Soldi che probabilmente non ci saranno mai restituiti. Dal punto strettamente commerciale, le nostre esportazioni verso Kiev non superano i due miliardi di euro e nulla lascia pensare che possano aumentare in modo significativo.
Qualcuno obietterà che non sono solo gli interessi economici a contare, ma è importante anche considerare se si tratta di un Paese che rispetti o no la democrazia. Di certo in Russia non c’è una democrazia quale noi la intendiamo e cioè “liberale”. Ma in Ucraina quale democrazia c’è? Quella che ha portato al potere a Kiev, uno dopo l’altro, presidenti essi stessi oligarchi oppure agli ordini di potentati economici che condizionano tutte le loro scelte? Chi è stato o vive in Ucraina sa che sono i pochi ricchi locali a controllare tutti i partiti e, di conseguenza, i parlamentari eletti nella Rada. L’ultimo presidente, quello attualmente in carica, è un ex-attore che fu eletto soltanto perché in una locale serie televisiva personificava chi combatteva proprio contro i politici corrotti. Promise di combatterli anche nella realtà, e cos’ha fatto? Nulla. È presidente da ben due anni, ma la corruzione è tuttora endemica e non accenna a diminuire e niente è stato fatto per separare l’Ucraina dalla sua lunga tradizione di dominio degli oligarchi. In compenso, i poveracci, soprattutto le donne, sono sempre costretti a emigrare per trovare lavoro e lasciano il resto della famiglia a cercare di sopravvivere con le rimesse che, se va bene, inviano loro dall’estero.
Ebbene, l’Europa masochista non solamente si schiera a fianco dell’Ucraina e rompe definitivamente con la Russia ma, decidendo l’invio di armi ad uno dei Paesi in guerra, arriva addirittura a farci correre il rischio di essere coinvolti direttamente nei fatti bellici. Con conseguenze che temiamo perfino ad immaginare.
Senza contare che, anche escludendo scenari peggiori, le conseguenze economiche di queste scelte sono da subito terribili per tutte le economie della Ue. Qualche politico, che per essere moderato mi limito a chiamare “incoerente”, è arrivato anche a preannunciare il ritorno all’uso massiccio del carbone per sopperire alle minori quantità di gas che riceveremo da Mosca. Dov’è andata a finire l’”assoluta urgenza” di eliminare le fonti fossili che emettono tanta CO2? Ma l’”Energia Verde” non era una assoluta priorità?
Che la guerra fosse da evitare fin dall’inizio con ogni mezzo diplomatico va da sé e nessuno si nasconde quali disgrazie comporti l’uso delle armi, ma accusare la Russia di essere l’unico responsabile di quanto sta accadendo è ipocrita o frutto di consapevole menzogna.
Qualcuno ha sostenuto che i pensieri che esprimo in questo e nei miei precedenti articoli sulla questione ucraina dimostrano che io sia filo-russo e sostenitore di Putin. In realtà, lo sono altrettanto quanto (non) mi piacciono i carciofi: non sono il mio cibo preferito, ma so che fanno bene allo stomaco e al colesterolo e quindi non vi rinuncio. Comunque sia, a coloro che pensano con quella definizione di lanciarmi un insulto e invitarmi ad auto-censurarmi ricordo una frase di Stefano Rodotà: “La democrazia deve essere il regime della verità, nel senso della piena possibilità della conoscenza dei fatti da parte di tutti” (Il diritto di avere diritti- Laterza 2012).
Le voci di chi oggi in Europa ha il coraggio di “cantare fuori dal coro” sono poche ma, fortunatamente e nonostante il conformismo che domina quasi tutti i nostri media, perfino negli Stati Uniti c’è chi ha condannato e condanna la politica cieca (e quindi tutt’altro che lungimirante) di Washington e dei suoi servi sciocchi.
Fin dal 2014, appena la crisi ucraina si è manifestata in tutta la sua grandezza con il colpo di stato contro Yanukovich, il grande ex ministro degli Esteri americano (1973-1977) Henry Kissinger (forse anche lui un filo-russo?) scriveva sul Washington Post (marzo 2014): “La questione ucraina viene posta come uno showdown: o l’Ucraina sta con l’occidente o con l’est (la Russia ndr.). Ma se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l’avamposto dell’uno contro l’altro – dovrebbe funzionare come un ponte tra i due”.
Non è esattamente quello che Putin sta chiedendo da sempre? E Kissinger continua: “L’Ucraina non deve entrare nella NATO, una posizione che io presi sette anni fa, l’ultima volta che il problema si pose. A livello internazionale (i suoi leader n.d.r.) dovrebbero assumere un atteggiamento simile a quello della Finlandia. Quella nazione non suscita alcun dubbio in merito alla sua fiera indipendenza e coopera con l’Occidente in tanti campi, ma evita accuratamente un’ostilità istituzionale verso la Russia”. Esattamente il contrario dell’atteggiamento tenuto da Zelensky.
Dopo Kissinger, diversi altri opinionisti e politologi americani hanno criticato la politica europea e di Washington contro la Russia per la questione ucraina. Ecco alcuni (tra i tanti) esempi: “Sebbene all’Ucraina non è formalmente garantita l’adesione alla NATO, lo sviluppo militare del territorio è già cominciato. E questo pone realmente una minaccia alla Russia, la cooperazione nel settore della difesa con i membri della NATO sta solo incrementandosi. Sebbene Zelensky in campagna elettorale parlasse di negoziazioni con Mosca, ha totalmente cambiato strada chiudendo nel 2020 tutte le stazioni televisive pro-russe e ha preso una linea dura contro ogni richiesta russa”. (Michael Kimmage, professore di storia presso l’Università Cattolica d’America e membro del German Marshall Fund. Dal 2014 al 2016 ha lavorato con il Dipartimento di Stato con competenza sul portfolio Russia-Ucraina).
Ancora lui: “Gli Stati Uniti e i suoi alleati europei condividono il più delle responsabilità della crisi. La radice della questione sta nell’allargamento della NATO, l’elemento centrale di una più larga strategia per muovere l’Ucraina lontana dall’orbita russa e integrarla nell’occidente – a cominciare dalla Rivoluzione arancione del 2004. Dopo tutto, l’occidente ha continuato a muoversi nel cortile di casa della Russia, un punto che Putin ha continuamente e ripetutamente messo in evidenza. L’amministrazione Clinton aveva cominciato a spingere per l’allargamento della NATO sin dalla metà degli anni ’90. Putin, parlando con Bush, in modo molto chiaro (disse n.d.r.) che se l’Ucraina fosse entrata nella NATO avrebbe cessato di esistere. L’Ucraina serve come Stato cuscinetto di importanza strategica enorme per la Russia. Nessun leader russo potrebbe tollerare un’alleanza, che fu un nemico mortale, fino ad accettare che arrivi in Ucraina”.
E ancora, molto importante: “Dopo tutto, gli Stati Uniti non accettano che una grande potenza lontana dispieghi le sue forze militari in un qualunque punto dell’emisfero occidentale e tanto meno vicino ai suoi confini. Immaginate quale affronto si percepirebbe a Washington se la Cina costituisse un’importante alleanza militare e cercasse di includervi il Canada e il Messico. C’è una soluzione alla crisi in Ucraina, tuttavia, gli Stati Uniti e i suoi alleati dovrebbero abbandonare il loro piano di “occidentalizzare” l’Ucraina e piuttosto puntare a farla diventare un cuscinetto neutrale tra la NATO e la Russia, così come si fece con l’Austria durante la guerra fredda. L’obiettivo dovrebbe essere un’Ucraina sovrana che non stia né nel campo russo né in quello Occidentale” (John J. Mearsheimer- Professore di Scienze Politiche all’Università di Chicago).
Persino il notissimo filo-russo (spero si colga l’ironia, ma in questi tempi di “verità unica” non c’è da fidarsi dell’apertura mentale di tutti i lettori) George Kennan (chi non sa chi sia vada a vederselo su Wikipedia) in una intervista del 1998, dopo che il Senato americano aveva approvato il primo round di allargamento della NATO, disse: “Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcuna ragione per farlo. Nessuno stava minacciando nessun altro”. Nella stessa intervista Kennan previde che quella espansione avrebbe provocato una crisi politica.
Queste citazioni, ma ce ne potrebbero essere anche altre, sono estratte da articoli apparsi su Foreign Affairs e credo difficile immaginare che tale rivista americana, considerata tra le migliori al mondo per la politica internazionale, li abbia pubblicati su pressione del Cremlino.
Forse la realtà è che, nonostante tutto, gli Usa restano ancora un baluardo della democrazia e della libertà di espressione, al contrario dell’Europa conformista e servile che ci appare ogni giorno più masochista.
Sostenere che l’Ucraina debba poter scegliere “democraticamente” (pur con i limiti alla sua democrazia evidenziati all’inizio di questo articolo) con chi stare potrebbe avere una logica se accettassimo che anche il Messico, per esempio, dovrebbe poter fare “democraticamente” una scelta pro-Cina senza che gli USA sentano il “dovere” di reagire. Al contrario, se riconosciamo ai nostri amici americani il diritto ad una “giusta” reazione, qualcuno dovrebbe spiegarci perché lo stesso diritto dovrebbe essere negato a Mosca.
La verità di questa “dròle de guerre” (nei fatti terribile), nella migliore delle ipotesi, è che tra coloro che la commentano esiste il divario tra chi guarda alla politica internazionale con occhi da “realista” e chi lo fa da “idealista”. I primi partono dal presupposto che la natura umana e delle cose sono i punti da cui partire e da cui non si può prescindere. Le grandi potenze pretendono allora, con la sola ragione della loro forza militare, di decidere autonomamente quali siano i limiti non superabili (le famose linee rosse) per avere garantita quella che considerano la loro sicurezza nazionale. È realismo tenerne conto da parte di tutti gli Stati più piccoli e soprattutto quelli con loro confinanti.
Gli idealisti (sempre supponendoli in buona fede) pensano invece che a guidare la storia debbano essere i valori in cui loro credono. Indipendentemente dal fatto che altri possano affidarsi a valori diversi. Sembra, e forse è, del tutto legittimo, ma purtroppo, quando i due approcci si scontrano nella realtà, non c’è più da stupirsi se la diplomazia lascia il campo alle guerre. Con conseguenze disastrose per tutti.
*Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali