In qualsiasi famiglia, azienda, e persino circolo sportivo il padre scapestrato che si gioca l’eredità a poker, il manager che accumula debiti fino al crack, il dirigente che fa pasticci con la contabilità, viene interdetto e difficilmente ha una seconda chances.
Solo in politica le seconde chance sono concesse con più larghezza, e in particolare, questa volta, al centrodestra di Silvio Berlusconi che nel 2011 portò l’Italia sull’orlo del default e di una crisi “di tipo greco”.
So che gli elettori hanno la memoria corta, ma mi è difficile immaginare come oggi si possa dare credito alle mirabolanti ricette per la ripresa di uno schieramento al quale dobbiamo larga parte dei sacrifici quasi insopportabili cui siamo sottoposti oggi.
La Riforma Fornero, i disperati giri di vite di Equitalia, i tagli drastici sui trasferimenti agli enti locali, sono figli di quella stagione e della disperata necessità, tra il 2011 e il 2013, di recuperare un minimo di affidabilità europea e di mettere in ordine conti disastrati da una maggioranza che fino all’ultimo aveva negato i problemi rifugiandosi nella favoletta dei “ristoranti pieni”.
Non c’è uno dei temi forti di questa campagna elettorale sui quali l’attuale centrodestra possa spendere qualcosa in più della demagogia.
Sull’immigrazione, dobbiamo al centrodestra la firma degli accordi di Dublino, quando si accettò con superficialità suicida che le domande di asilo dovessero essere gestite dai Paesi di primo accesso.
E poi, la legge più insensata degli ultimi anni, quella che ha reso impossibile l’espulsione di migliaia di stranieri irregolari: l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, con schiere di clandestini “obbligati” a restarsene in Italia in attesa di processo.
È firmata dal centrodestra la nascita di Equitalia, che all’inizio della sua avventura aveva addirittura la facoltà di pignorare le prime case. È il centrodestra a patrocinare la più fallimentare delle privatizzazioni, quella di Alitalia, con lo Stato che si addossò tutto intero il costo dei debiti accumulati dalla compagnia: 3 miliardi di euro.
La grande illusione del centrodestra “moderato e popolare”, insomma, è svanita da un pezzo sotto il peso di fatti incontrovertibili, e fa sorridere oggi il tentativo di rilanciarla con lo specchietto per le allodole della Flat Tax e dei fantomatici “risparmi” con i quali sarebbe finanziata.
Anche nel 2011, nell’ultima manovra firmata dal governo Berlusconi, si promise di reperire i 20 miliardi che servivano al bilancio di allora “con razionalizzazioni della spesa sociale” entro un anno, impegnandosi in caso contrario all’aumento dell’Iva. Quei miliardi non sono mai stati trovati. E da sei anni, anno dopo anno, per evitare un catastrofico aumento dell’Iva, l’Italia deve raschiare il fondo del barile della sanità, del welfare, della scuola.
Riconoscere tutto questo è un dato di serietà. E per chi, come me, alla prospettiva “moderata e popolare” ha sempre creduto davvero, è doveroso utilizzare la campagna elettorale anche per mettere in guardia gli elettori: stiamo appena uscendo da una crisi infinita, determinata da comportamenti superficiali e demagogici, vogliamo ricominciare da capo?
Vogliamo ritrovarci, fra un anno o due, di nuovo al 2011, come in un infinito gioco dell’oca? Chiunque abbia rispetto e amore per gli italiani, che si sono svenati per riconquistare un pezzetto di benessere per i loro figli, dovrebbe riflettere su questa prospettiva.
*candidato alla Camera con Civica Popolare nella ripartizione estera Europa