Seduti attorno a un tavolo, nella sede dell’Edilnord di Milano, i boss palermitani pattuirono con Silvio Berlusconi e il suo fidato consigliere Marcello Dell’Utri il prezzo della protezione di Cosa Nostra all’allora imprenditore. Era il 1974. E a rappresentare le cosche furono Mimmo Teresi e Stefano Bontade, capimafia storici poi sconfitti dai corleonesi. La storia, nota e scritta ormai nella sentenza definitiva che ha condannato Dell’Utri a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, e’ tornata oggi d’attualita’. A raccontarla e’ stato il pentito Antonino Galliano, salito sul banco dei testi al processo sulla trattativa Stato-mafia che vede l’ex manager di Publitalia imputato, insieme ad ufficiali dell’Arma, boss ed ex politici, di minaccia a Corpo politico dello Stato.
Racconta Galliano, ex uomo riservato della "famiglia" della Noce, nipote del capomafia Raffaele Ganci, che, pero’, dopo l’assassinio di Bontade, morto nella guerra di mafia che insanguino’ Palermo negli anni ’80, le cose cambiarono. Berlusconi, prima preoccupato per l’incolumita’ sua e della sua famiglia, non avrebbe piu’ pagato. E il flusso di denaro che, attraverso il boss Nino Cina’ (anche lui tra gli imputati al processo sulla trattativa) arrivava a Toto’ Riina si sarebbe interrotto.
Per ovviare al problema la mafia, come al solito, sarebbe ricorsa alla forza e il capo dei corleonesi avrebbe fatto mettere ai clan catanesi una bomba davanti casa dell’imprenditore per convincerlo a rispettare gli antichi accordi e tornare a pagare.
La deposizione del pentito fa saltare sulla sedia il legale di Marcello Dell’Utri, l’avvocato Giuseppe Di Pieri. "Ci troviamo davanti a un imputato – dice il penalista – che sta scontando sette anni di carcere sulla base di una sentenza della Cassazione che e’ in contrasto con un altro verdetto della Suprema Corte e che ora viene smentita da un collaboratore di giustizia come Antonino Galliano". "Le sue parole – continua – trovano riscontro in quelle di un altro collaboratore di spicco come Giovanni Brusca che conferma l’interruzione dei pagamenti da parte di Berlusconi. E comunque la prima sentenza della Cassazione, che ha annullato con rinvio il verdetto d’appello, era sulla stessa linea e acclarava la sospensione delle dazioni di denaro e soprattutto la non volontarieta’ della loro ripresa, frutto solo di intimidazioni".
"Altro punto ribadito da Galliano e smentito invece dalla Cassazione ormai definitiva e’ il contrasto che si sarebbe creato tra il boss Nino Cina’ e Marcello Dell’Utri. – conclude – Secondo il pentito, l’ex senatore si sarebbe addirittura rifiutato di riceverlo. Tutte queste discrasie, anche in ordine alle decisioni della Cassazione, determinano una profonda amarezza e dimostrano che non puo’ affidarsi il destino di un uomo alle sole contrastanti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia".
Rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo Galliano ha raccontato anche di un incontro, avvenuto ad ottobre del 1991, per tentare di aggiustare il maxiprocesso: tra i partecipanti Toto’ Riina, ma anche generali, ministri in carica e esponenti delle istituzioni. "Me ne parlo’ Mimmo Ganci – ha raccontato il pentito – E sempre lui mi parlo’ di un piano di Cosa nostra di staccare la Sicilia dall’Italia".
Il processo prosegue venerdì con la deposizione del presidente del Senato Piero Grasso e del segretario generale del Quirinale Donato Marra.
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