Riteniamo opportuno e giustificato il rifiuto di Mattarella ad accettare che, dopo quello del presidente del Consiglio, gli venisse imposto anche il nome dell’unico ministro che il presidente della Repubblica, nell’ambito delle sue prerogative, aveva ripetutamente chiesto che venisse sostituito.
A questo punto ricapitoliamo le cose.
Innanzi tutto è necessario ricordare che l’alleanza tra Lega e M5S non ha avuto l’approvazione degli elettori. I due partiti avevano programmi ben differenti. La Lega e Salvini si sono presentati nella coalizione di centrodestra che, sintetizzando, proponeva flat-tax, blocco dell’immigrazione, riduzione della burocrazia, estensione della legittima difesa, riforma della magistratura. Un programma liberale.
Il M5S si è presentato alle elezioni proponendo reddito di cittadinanza, blocco delle infrastrutture in corso, riduzione delle pensioni alte, allungamento della prescrizione nei processi, nuove regolamentazioni statali in molti aspetti della vita dei cittadini. Un programma statalista, pauperista e giustizialista.
Il relativo successo di Salvini alle elezioni, 17%, gli deve aver fatto montare la testa. Invece di mantenere coerenza e restare nell’alleanza di centrodestra, che di voti ne ha avuti il 37%, si è lasciato attrarre dalle sirene del M5S ed ha firmato con loro un indigeribile “contratto di governo”, che in primo luogo sancisce l’approvazione del reddito di cittadinanza e rinvia quella della flat-tax.
La tecnica dei Cinque Stelle è subdola: ritardare l’approvazione della flat-tax, in un programma che prevede spese per più di cento miliardi e risorse per meno di uno, significa in realtà eliminarla. Quanto alle grandi opere, la tecnica è molto simile. Di Maio dice che vanno ridiscusse, intanto per bloccarle e poi per non farne più nulla. D’altra parte quella contro la TAV e il Terzo Valico è una loro sciagurata battaglia e Salvini dovrebbe pur saperlo.
Anche nei confronti del controllo dell’immigrazione Salvini si illude sulla collaborazione del M5S. Impuntandosi sul nome di Savona per il ministero dell’Economia, Salvini e Di Maio, dopo aver imposto a Mattarella quello dello sconosciuto Giuseppe Conte come poco credibile presidente di un governo già preparato e servito, non si sono fatti scrupoli, ritenendo che, nel peggiore o forse per loro nel migliore dei casi, andare a nuove elezioni gli farà guadagnare consensi. E temiamo purtroppo che questo sia vero.
La campagna elettorale è riavviata, anzi non è mai stata interrotta. Di Maio e Salvini vedono che ricevono approvazione tra gli elettori, e quindi alzano i toni. Il primo, incorreggibile giustizialista, parla adesso di mettere sotto accusa il presidente della Repubblica. L’altro minaccia addirittura di “andare a Roma”. Sembra Mussolini nel 1922, nei confronti di Vittorio Emanuele III.
Non sapremo mai come si sarebbero sviluppati gli eventi, se in quell’anno il Re avesse sbarrato la strada a colui che poi diventò il Duce. Ma oggi dobbiamo dare atto all’attuale Capo dello Stato di avere agito in difesa dell’interesse degli italiani. E non si critichi che abbia fatto un processo alle intenzioni. Le intenzioni possono realizzarsi e comunque provocare gravi conseguenze. Un rischio che Mattarella ha fatto bene ad evitare.
Con un ministro dell’Economia che perora l’uscita dall’euro, le finanze pubbliche e private ne avrebbero ricavato un salasso. E tale eventualità non era stata oggetto della campagna elettorale. Se poi in futuro l’uscita dall’euro dovesse malauguratamente concretarsi, è facile prevedere che l’inflazione in Italia riprenderebbe a galoppare. Chi ne ha l’età necessaria, dovrebbe ricordarsi di come, negli anni 80, i prezzi aumentavano mese dopo mese, svalutando inesorabilmente gli stipendi e le pensioni, che non reggevano il passo dell’inflazione, né avrebbero potuto farlo.
Chi si illude che l’Italia, fuori dall’Euro e dalla UE, potrebbe trarne vantaggi concorrenziali, non considera che, a parte molte altre negative conseguenze, gli altri paesi frapporrebbero oneri doganali alle nostre merci e servizi. Quanto al minacciare di non pagare i nostri debiti, è demagogico e insensato. Innescare una guerra commerciale e finanziaria contro la Germania o altri “nemici esterni”, è semplicemente velleitario e ci vedrebbe perdenti.
Sappiamo che oggi si suole dividere gli schieramenti non più tra destra e sinistra, ma tra sovranisti e mondialisti. Noi riteniamo che la destra, intesa come programma liberale che mette in primo piano l’individuo, e la sinistra, che vuole accrescere le funzioni e i poteri statali, siano categorie valide e realtà tuttora presenti, come l’esperienza di molti paesi ci insegna.
Il nazionalismo sovranista l’abbiamo sperimentato e ben sappiamo dove ci abbia condotto. D’altra parte, anche il mondialismo della globalizzazione, attuato senza gradualità e quindi sconsiderato, ha provocato molti danni, con la chiusura di migliaia di imprese e la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Destra liberale e sinistra statalista da un lato, sovranismo e mondialismo dall’altro, si possono combinare e graduare in vari modi. Oggi applicare una ricetta statalista-sovranista ci porterebbe nel peggiore dei mondi e potrebbe essere l’anticamera di una dittatura.
Mentre scriviamo è appena stato dato l’incarico di governo a Cottarelli. Salvini si è affrettato a dire che, se Berlusconi gli voterà la fiducia, l’alleanza di centrodestra è rotta. Berlusconi avrebbe dovuto prevenirlo, per dirgli che l’alleanza della Lega con il Movimento Cinque Stelle configura un tradimento politico e un inciucio della peggior specie. E pensiamo che sia ancora in tempo, per farlo presente agli elettori del centrodestra, e alla Lega, se guariranno dall’infatuazione improvvisa per il M5S.
Spiace infine che la Meloni si sia dichiarata favorevole all’impeachment del presidente della Repubblica. Dopo quella di Salvini, per noi è stata un’altra doccia fredda, o per meglio dire (data la rilevanza del suo partito) una doccetta tiepida. Lei, che neppure faceva parte dell’innaturale connubio Lega-M5S, avrebbe fatto bene a star zitta.
In queste circostanze, anche se lo speriamo, ci sembra difficile che possa essere riconfermata un’alleanza di centrodestra, e ci domandiamo se nella Lega non esista qualcuno che abbia mantenuto la testa sulle spalle. Maroni e Zaia non hanno nulla da dire?