In Italia il cemento divora il mare. Se lo mangia, ingoiando le spiagge libere. La sabbia della nostra giovinezza, delicato e dolce tappeto dei nostri sogni. I siti delle vacanze della gente normale, gli italiani d’altri tempi. Quei tempi pieni di speranze e di aspettative, bastava niente, appunto un lembo di spiaggia libera, per ritenersi sazi e soddisfatti. Il privato famelico ha divorato tutto: il numero delle spiagge private è raddoppiato in dieci anni, se ne conta una ogni 350 metri di costa. Un mare di cemento, dal Friuli alla Sicilia. In Sardegna un raro caso virtuoso: 120 chilometri di spiagge gestite dalla Conservatoria delle coste; a Oristano la bella spiaggia libera di Bidderosa. Ma nella stessa Sardegna si registrano eccessi di concessioni a Porto Pino. Palesi i danni alle dune. Avanza il cemento, e devasta.
Gli stabilimenti balneari sono più che raddoppiati lungo gli 8.000 chilometri di costa in Italia. Quelli balneabili sono 4.000. Dodicimila spiagge private su un’estensione complessiva di 18 milioni di metri quadrati. Una manna per l’erario, che incassa 130 milioni di euro l’anno. L’industria delle spiagge varia dai 2,5 miliardi dichiarati dai gestori, a fronte dei 6-8 milioni ipotizzati dalla Guardia di Finanza e da alcuni autorevoli esponenti ambientalisti. La media sul dichiarato è di 13.600 euro a testa. Cifre da contribuenti italiani “più poveri”. Le aziende del settore sono circa 30 mila. Seicentomila gli operatori del settore, incluso l’indotto. Dodicimila gli stabilimenti balneari censiti; erano meno della metà nel 2001. In poco più di 10 anni, il cemento si è mangiato il nostro mare. Allarmi chiari e forti provengono dalla Liguria, l’intera costa è soggetta a cementificazione, e da Termoli, eccesso di cemento, da Roma, strutture ingombranti e eccessivo carico di bagnanti. A Pisa solo poche centinaia di metri liberi su circa 10 chilometri di spiaggia. Costa erosa e dune danneggiate alla spiaggia della Feniglia e di Orbetello. Onda amara a Napoli e in Campania, tutti gli arenili sono stati affidati ai privati. Minacciate dalle costruzione di nuovi porti Amantea e Locri, in Calabria. Porti turistici e dune non protette in Basilicata, lungo la costa ionica. E la Sicilia? Cascate di cemento in arrivo, c’è la minaccia di nuove concessioni e di ulteriori certificazioni. La Puglia no, si distingue anche in questo. Una regione virtuosa. Sembra di non essere al Sud del Paese: il sessanta per cento delle spiagge è di libero accesso, comprese le foci dei fiumi e le infrastrutture. Il sessanta per cento contro il 20-25 di media nelle altre regioni italiane. Presso la Riserva naturale delle Cesine, sulla costa salentina, presto inizieranno i lavori di bonifica e rimozione dei rifiuti stratificati da anni lungo l’arenile. La spiaggia tornerà al suo splendore originario in poche settimane. Il Wwf si è battuto anni nella campagna “Un mare di Oasi per te” e ora chiede agli enti locali, per Cesine e altre spiagge, un progetto di manutenzione costante, per garantire la bellezza e la vivibilità delle spiagge. Minacciate in Italia dall’aggressione incontenibile e devastante del cemento.
Un fenomeno particolarmente allarmante. Scompaiono le dune di sabbia costruite nel tempo dall’azione del vento. La sparizione è visibile in tutta la sua evidenza dalle file di sdraio e ombrelloni, chioschi, campetti di calcio o beach volley. Impazza il cemento: le dune in grado di svolgere naturale funzione di barriera naturale coprono appena 140 chilometri. I numeri erano ben altri, fino al 2001. “I canoni sono bassi, miliardari i guadagni”, osserva il Wwf. Imminente la presentazione di un check-up generale delle spiagge in quindici regioni italiane. Il documento evidenzierebbe che nella maggior parte dei casi non è stata stabilita la percentuale minima di arenile da riservare alla libera balneazione. Risulta inoltre spesso impraticabile la fascia protetta di cinque metri dalla battigia, più affollata di una strada pedonale il giorno dello shopping. Siamo al trionfo sul litorale del cemento, mai troppo maledetto. E in dispregio della direttiva comunitaria datata 2006, che prende il nome dall’economista olandese Frederick Bolkestein. In questo regime di totale confusione, in Parlamento c’è chi propone di estendere le concessioni demaniali da 20 a 50 anni. Il rischio sembra evidente, ma pare che di questo non freghi niente a nessuno. Verrebbe così favorita la trasformazione delle strutture stagionali in impianti fissi o addirittura in edifici. Il risultato finale sarebbe tipico di questa nostra Italia priva di testa, vessata dalle tasse, impoverita dalla crisi. Una spiaggia assegnata in concessione a un privato per 50 anni non sarà mai più pubblica. Né tantomeno libera. Siamo basiti davanti a questa prospettiva. Anzi di più: cementificati anche noi.
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