In Italia c’è anche un’industria che non conosce la crisi. Un’attività fiorente che se ne sbatte di tutto, manovra economica compresa. Fatturato legale 76,1 miliardi di euro, l’industria del gioco è la terza d’Italia. Siamo diventati dunque un Paese di giocatori. Peggio ancora, di scommettitori. In un nessun posto al mondo si gioca di più, spendiamo due volte e mezzo in più di quanto ogni famiglia media destina alla salute e alle tasse. L’Italia delle 400mila macchinette, una ogni 150 abitanti. Siamo un grande casinò mangiasoldi che svuota le tasche degli italiani. I giocatori felici
di farsele svuotare, attratti e traditi dalla grande illusione: quella della puntata, della scommessa, che può cambiare la vita.
Ogni italiano spende mediamente 1.260 euro in video-giochi, slot machine, gratta e vinci, bingo. Sinonimo di miseria e disperazione, il gioco è andato alla testa degli italiani. Due milioni quelli a rischio: giocano più di tre volte alla settimana e per più di tre ore al giorno. I dipendenti censiti a rischio spendono almeno 600 euro ogni mese; i due terzi addirittura 1.200. Numeri pazzeschi, che fanno cadere le braccia. Cifre eccessive, verificate, accertate, certificate da un’indagine condotta da Libera Associazione contro le mafie. Il dossier di prossima pubblicazione è curato da uno
scrupoloso giornalista, Daniele Poto. L’indagine è una lente d’ingrandimento sui 41 potenti clan malavitosi che gestiscono il “gioco delle mafie”. Il peggio del peggio: Casalesi, Santopaola, Bidognetti, Lo Piccolo, Schiavone, Cava, Condello. Funzionano come una sorta di undicesimo concessionario occulto del Monopolio di Stato.
Indagini a tappeto portate a termine dalle forze di polizia in 22 città d’Italia, hanno consentito arresti e sequestri di persone e attività gestite direttamente dalla criminalità organizzata a Bologna, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria. Rien ne va plus, la criminalità organizzata sa come fare il proprio gioco. Si è infiltrata dappertutto. Nelle società di gestione delle scommesse e nelle sale Bingo, che si prestano in qualità di autentiche “lavanderie” del gioco sporco. Imponenti proventi provengono anche dalla gestione degli apparecchi
dei video-giochi, dalle bische clandestine e dal totonero. Una piaga di colossale dimensioni. Senza mettere poi nel conto il mondo obliquo del calcio-scommesse, che vale 25 miliardi sull’unghia. Cifre da capogiro, attività da sballo, un’industria di successo in quest’Italia altrimenti diventata miserabile.
Il gioco funziona, tira. La Lombardia, nei mesi di ottobre e novembre, ha fatturato 2 miliardi e 586 milioni, primato del settore in Italia. Un miliardo e 795mila euro la Campania, che si segnala
come la regina delle corse clandestine dei cavalli. Un ippodromo a cielo aperto, funzionante 365 giorni l’anno, a fronte degli impianti ufficiali dell’ippica attualmente tutti chiusi. I cancelli sprangati, e pare non esista soluzione immediata in grado di riaprire gli ippodromi. Corse clandestine con scommesse e sale gioco create ad arte per coprire attività d’usura a tassi capaci di scannare i cinghiali, non solo gli uomini. Un’attività, questa del gioco in Italia, che assicura il lavoro a 120mila addetti. E muove affari di 5.000 aziende grandi e piccole. Il racket delle lotmachine,
come pure le società criminali addette all’acquisto dei biglietti vincenti del Lotto, superenalotto e gratta e vinci. Funziona così: i biglietti vincenti vengono acquistati da normali giocatori vincitori con uno sovraprezzo dal 5 al 10 per cento. Possono così essere riciclati in acquisti di beni e attività commerciali. Un’invenzione recente e non sarà l’ultima, vedrete.
Una piaga italiana, il gioco. Un’autentica piovra, dovunque ti giri trovi macchinette e quant’altro, occasioni per una scommessa, la possibilità di farti sfilare soldi dalle tasche. A Roma sono in funzione 400mila macchinette, infernali aggeggi per il gioco d’azzardo, dispensatori di illusioni e produttori di norma di delusioni e disperazione. Pensate, 900 postazioni di gioco sono presenti in un solo quartiere di Roma, l’Appio. Numeri alla mano, in Italia i giocatori a rischio sono 1.720mila; più di 708mila gli adulti patologici, l’11% i patologici minorenni. Una piaga sociale, ma non
è detto che questi dati inquietanti e drammatici siano destinati a provocare reazioni forti nelle nostre coscienze, quando saranno pubblicati. Come mai? L’industria del gioco mobilita il 4,1% del Pil nazionale.
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