Damasco si è svegliata oggi nel terrore: il piú sanguinoso attentato terroristico dall’inizio della rivolta anti-regime in Siria e della conseguente repressione militare e poliziesca è stato compiuto stamani nella parte sud della città da due kamikaze a bordo di altrettante autobomba, uccidendo secondo le autorità 55 persone e ferendone oltre 300. Un testimone ha riferito anche di 11 bambini tra le vittime, probabilmente studenti della vicina scuola. La versione governativa è peró messa in discussione dagli attivisti, dai dissidenti e dagli oppositori che accusano il regime di esser dietro le esplosioni per sostenere la tesi del "complotto" ordito dai Paesi arabi del Golfo, dagli Stati Uniti, Israele, Turchia e Francia e legittimare cosí la repressione in corso da un anno e due mesi.
Solo oggi altri 19 civili sono stati uccisi nella Siria centrale e nella regione nord-occidentale di Idlib da bombardamenti di artiglieria e attacchi militari dei governativi contro gli epicentri della rivolta. Il Centro di documentazione delle violazioni in Siria (vdc-sy.org) fornisce un bilancio dettagliato e aggiornato delle vittime. Tra loro ci sono tre donne e un bambino di dieci anni, Abdo Shakkhita di Khan Shaykhun (Idlib).
A questi si aggiungono i nomi di sei civili uccisi stamani dalla duplice esplosione di Damasco e quello di un settimo, Firas al Kayl, di 24 anni: secondo il Vdc è stato colpito sul balcone di casa da spari di arma da fuoco esplosi dalle forze di sicurezza immediatamente dopo l’attentato.
Questo è avvenuto attorno alle 8 lungo la trafficata tangenziale meridionale, nel quartiere di Qzaz. Secondo la ricostruzione ufficiale, due autobomba imbottite in tutto di "piú di 1.000 chilogrammi di esplosivo" si sono lanciate contro le barriere di protezione della sede del Dipartimento ‘Palestina’ dei servizi di sicurezza militari. Il compound era già stato preso di mira da "terroristi islamici" nel settembre 2008, causando allora l’uccisione – secondo i bilanci non verificabili forniti dal regime – di 17 persone.
Stasera le autorità non hanno ancora precisato quante vittime siano civili e quante siano militari e agenti. Sulla strada, costeggiata da un lato dal palazzo semi distrutto dei servizi di sicurezza e dall’altro da uno spazio in terra battuta e, piú in là, di case basse tra cui sorge una scuola, rimane un cratere di circa tre metri.
Sul luogo dell’attentato, tra auto incendiate, carcasse di vetture e membra umane, i cameramen della Tv di Stato hanno potuto filmare i corpi straziati delle vittime, raccolti a terra da un nugolo di uomini dei servizi e da altri soccorritori: "E’ questa la libertà che vogliono?", si sono chiesti in coro riferendosi alle proteste anti-regime che da oltre un anno scuotono il regime del presidente Bashar al Assad. Altri personaggi apparsi sugli schermi della Tv di Stato hanno accusato senza mezzi termini "il terrorismo dell’Arabia Saudita e del Qatar". Sul luogo è stato condotto dalle autorità locali anche il generale norvegese Robert Mood, comandante dei 70 osservatori Onu attualmente operativi nel Paese. "Questo (attacco) è un altro esempio della sofferenza causata al popolo siriano da atti di violenza", ha commentato a caldo Mood.
Il Consiglio nazionale siriano (Cns), principale piattaforma delle varie opposizioni siriane all’estero e di cui fanno parte anche membri del movimento rivoluzionario in patria, ha condannato il duplice attentato e ha accusato il regime di essere dietro alle esplosioni. "Consideriamo – spiega il leader Burhan Ghalioun – tutte le esplosioni nelle città contro i palazzi del governo come organizzate dal regime con l’unico scopo di giustificare lo spiegamento di forze per prevenire gli attacchi e, di fatto, opprimere la popolazione".
Dal canto suo,ÿl’esercito libero siriano (Esl), piattaforma che riunisce i soldati disertori anti-regime, ha smentito ogni legame col duplice attentato, ribadendo che non è interesse dei ribelli colpire i civili e che l’Esl non avrebbe avuto comunque la capacità e i mezzi di condurre una simile operazione. Condanne per l’attentato odierno sono giunte unanimi. Mosca, per bocca del suo ministro degli esteri, ha peró accusato senza nominarli i Paesi del Golfo: "Alcuni dei nostri partner internazionali agiscono in modo che la situazione in Siria esploda nel senso letterale e figurativo", ha detto Lavrov da Pechino. Mentre il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha affacciato l’ipotesi di una missione ‘piu’ robusta’ di osservatori (fino a 2-3mila uomini) e soprattutto ‘in grado di intervenire in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite: una missione cioe’ armata, capace di garantire la protezione di alcune aree e la sicurezza degli osservatori che oggi è invece affidata al governo siriano’. Ma per fare questo, ha subito aggiunto, e’ necessario il consenso di tutti e 15 i membri del Consiglio di Sicurezza. Condizione indispensabile che, almeno per adesso, non c’e’.
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