La Francia e la Turchia spingono per un intervento contro il regime siriano dopo le denunce sull’uso di gas nervino che secondo gli attivisti avrebbe ucciso 1.300 persone nella notte tra martedi’ e mercoledi’ in alcuni sobborghi di Damasco. Ma un’azione internazionale sembra per ora frenata dalle difficolta’ nel trovare le prove di quanto accaduto. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha detto che una richiesta formale e’ gia’ stata inviata al governo siriano perche’ consenta agli ispettori gia’ nel Paese da domenica per investigare tre precedenti casi denunciati, di recarsi sui luoghi colpiti dai bombardamenti dell’altra notte. Il segretario generale ha sottolineato di aspettarsi una risposa positiva "senza indugi". Ban ha anche ordinato alla sua vice Angela Kane di recarsi a Damasco, dove era gia’ stata in luglio per un faticoso negoziato sull’arrivo degli ispettori.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunito ieri sera in sessione d’emergenza, aveva affermato di volere fare "chiarezza" sul bombardamento. Ma non aveva esplicitamente chiesto un’indagine immediata degli ispettori che alloggiano in un albergo del centro a pochi chilometri di distanza. Una situazione paradossale di fronte alla quale il Centro di documentazione delle violazioni in Siria – la principale piattaforma di denuncia dei crimini commessi nel Paese – ha chiesto agli inviati dell’Onu di andarsene se non potranno fare un’inchiesta sugli episodi denunciati. Parigi cerca intanto di forzare la mano.
Per il presidente francese Francois Hollande, l’uso di armi chimiche e’ "probabile". E in tal caso esse "vengono da Bashar Al-Assad”, ha detto il ministro degli Esteri Laurent Fabius, aggiungendo che cio’ renderebbe necessario rispondere con la forza. Sulla stessa lunghezza d’onda il capo della diplomazia turca, Ahmet Davutoglu, secondo il quale il regime di Damasco ha superato ormai "tutte le linee rosse". Mentre la Lega Araba ha chiesto a Ban Ki-moon di convocare d’urgenza una sessione del Consiglio di sicurezza per imporre un cessate il fuoco nel Paese.
”Riuscire a fare chiarezza e’ la cosa piu’ importante, perche’ il regime e i russi danno un’altra versione, piu’ o meno interessata", ha detto il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino. Infatti, il regime si difende affermando che l’uso di armi chimiche proprio in presenza degli esperti delle Nazioni Unite sarebbe stato un "suicidio politico". Una circostanza sottolineata anche dall’osservatore permanente del Vaticano presso l’Onu a Ginevra, mons. Silvano Maria Tonasi. "Da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia", ha osservato Tonasi, aggiungendo che "non bisogna accelerare un giudizio senza avere sufficiente evidenza".
Ma non sono solo i gas a uccidere in Siria. I bombardamenti governativi convenzionali sui sobborghi controllati dai ribelli sono continuati oggi, mentre un obice di mortaio sparato apparentemente dagli insorti e’ caduto nel centro moderno di Damasco, a meno di un chilometro dalle antiche mura della Citta’ vecchia, senza fare vittime. L’ordigno ha colpito il parco George Khuri, tra piazza degli Abbasidi e Bab Tuma (Porta di Tommaso), uno degli ingressi alla parte antica della capitale. Il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, ha detto all’agenzia Asianews che la stessa area ieri e’ stata fatta bersaglio di almeno 40 razzi e obici ed e’ stato colpito anche un convento dei francescani, dove e’ rimasto ferito un sacerdote siro-cattolico. Un segnale, ha avvertito il nunzio, che per Damasco sono cominciate "ore decisive".
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