Il ‘reset’ delle relazioni tra Stati Uniti e Russia e’ stato sin dall’inizio uno dei tratti caratteristici della presidenza Obama, ma ora, con il ritorno di Vladimir Putin al Cremlino, e soprattutto con il braccio di ferro tra Mosca e Washington sulla Siria, molti americani si domandano se non si tratti ormai di una politica giunta al capolinea, e lo fanno usando toni degni della Guerra Fredda. A pochi giorni dal primo atteso faccia a faccia da presidente di Putin con Obama, a margine del G20 in Messico; il segretario di Stato Hillary Clinton ha in maniera insolitamente esplicita accusato Mosca di fornire elicotteri da guerra al regime di Assad, antico alleato e grande acquirente di armi russe. A stretto giro, il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov ha respinto l’accusa al mittente, sostenendo che le forniture di Mosca sono legali e ‘di difesa’, mentre gli Usa, invece, ‘stanno fornendo armi all’opposizione siriana, che possono usarle nei combattimenti contro il governo di Damasco’.
Il ministro Lavrov si e’ peraltro cosi’ espresso in una conferenza stampa congiunta col collega iraniano Ali Akbar Salehi, a Teheran, a pochi giorni dal nuovo round di colloqui sul nucleare in Iran tra la comunita’ internazionale e il governo iraniano, che si terranno a Mosca, e su cui gli Stati Uniti auspicano un sostegno attivo da parte dei russi. Che le relazioni tra i due Paesi volgessero al freddo dopo il ritorno al Cremlino di Putin e’ apparso chiaro quando lo stesso Putin ha disertato il G8 ospitato da Obama a Camp David, inviando al suo posto il premier Dmitri Medvedev.
In quest’atmosfera ci sono anche state evidenti frizioni sulla difesa antimissile della Nato, con un generale russo che e’ arrivato a minacciare un bombardamento preventivo contro le difese missilistiche Usa in Polonia in caso di crisi, e poi lo spinoso dossier dei diritti umani in Russia, con la repressione delle manifestazioni di dissenso da parte del governo di Putin. Fattori che hanno indotto ad esempio il Los Angeles Times a scrivere che, certo Putin non è Stalin e neppure Leonid Brezhnev, ma la repressione delle manifestazioni esorta a considerare, ora come in passato, che non si puo’ consentire che necessita’ politiche soffochino il sostegno alla democrazia.
Sull’Huffington Post, Marc Ginsberg, gia’ ambasciatore Usa in Marocco, ha dal canto suo affermato che, anche se non sono la stessa cosa, l’affermazione che Mosca non sta inviando al regime di Damasco armi da usare contro i ribelli combacia con quella che Nikita Khrushchev secondo cui Mosca non stava inviando missili nucleari a Cuba. E molto pesante c’e’ andato anche il New York Times, che ha pubblicato un editoriale dal titolo: Russia, Soviet Style’, in cui si legge che ‘evidentemente, per il presidente russo bloccare l’Onu dal punire la Siria non è abbastanza. Deve aiutare attivamente il dittatore Assad ad uccidere il suo popolo in maniera piú efficiente’. Oggi, lo stesso giornale rileva che finora il ‘reset’ voluto da Obama ha permesso la firma di accordi sulla riduzione degli arsenali nucleari, l’ingresso di Mosca nel WTO o il passaggio sul territorio russo delle vitali forniture alle forze Nato impegnate in Afghanistan. Ma ora, aggiunge, si vedra’ se il vertice in Messico tra Obama e Putin non sia altro che un test per stabilire che il ‘reset’ ha fatto il suo corso.
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