C’e’ il via libera di Bashar al Assad: gli ispettori dell’Onu potranno indagare sul luogo del presunto attacco con armi chimiche del 21 agosto in Siria. Dopo cinque giorni di pressioni internazionali – e dopo una telefonata tra il segretario di Stato Usa John Kerry con il ministro siriano Walid Moallem – e’ arrivata l’autorizzazione del regime alle ispezioni e domani gli esperti potranno recarsi nella Ghouta orientale, vicino alla capitale, sul posto della strage di cui governo e ribelli si rimpallano la responsabilita’. "Troppo tardi", commenta pero’ Washington, che giudica l’apertura siriana "poco credibile", ritenendo che le prove dell’uso di armi chimiche da parte del regime – su cui ormai restano "pochi dubbi" – possano essere state "indebolite" dal passare dei giorni o addirittura "inquinate" dai bombardamenti dei lealisti.
Anche per Londra, il team dell’Onu, guidato dallo svedese Ake Sellstrom, potrebbe fallire: "Dobbiamo essere realistici – ammette il ministro degli Esteri William Hague -: quelle prove potrebbero essere gia’ state distrutte dai bombardamenti dell’artiglieria" di Assad. E mentre il presidente Barack Obama valuta con l’alleato David Cameron le opzioni disponibili per una risposta adeguata al massacro (1300 vittime secondo gli attivisti siriani, Msf ne ha accertati piu’ di 350), la Russia mette in guardia gli Usa a "non ripetere l’errore dell’Iraq" di dieci anni fa, quando basandosi su "informazioni menzognere" e "aggirando l’Onu" si lanciarono in "un’avventura" le cui conseguenze sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti.
Le ispezioni, aggiunge Mosca, non conducano a "conclusioni affrettate" che porterebbero la comunita’ internazionale a compiere "un tragico errore". Ma se da un lato Assad sembra voler venire incontro alle richieste internazionali – o semplicemente "dimostrare" che a compiere l’attacco chimico sono stati i "terroristi", come spiega la nota con cui e’ stato annunciato il via libera -, dall’altro non risparmia minacce agli Stati Uniti: un intervento militare in Siria "non sara’ un pic-nic per nessuno", anzi "infiammerebbe il Medio Oriente", avverte per bocca del suo ministro dell’Informazione Omran Al Zoubi. Anche l’Iran, fedele alleato di Assad, che ha fatto sua la retorica del regime della "guerra terroristica in Siria", mette in guardia Obama a non superare "la linea rossa", altrimenti ci saranno "dure conseguenze".
Negli Stati Uniti aumenta pero’ la pressione per un intervento militare, anche se "limitato", come suggerisce il senatore repubblicano John McCain. E il segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel annuncia che il Pentagono "e’ pronto" a intervenire, non appena Obama avra’ deciso quale delle possibili opzioni adottare. Nella regione si segnalano gia’ dei movimenti, anche se prudenti: gli Stati Uniti hanno rafforzato la presenza di navi nel Mediterraneo, da cui potrebbero essere lanciati missili Cruise verso installazioni militari del regime. L’opposizione siriana ha rivelato inoltre di aver ricevuto 400 tonnellate di armi, finanziate da paesi del Golfo, attraverso il confine turco. Una consegna fatta all’interno dei confini siriani, che pero’ Ankara smentisce. Sono ore di consultazioni frenetiche tra alleati, con una serie di telefonate tra Obama, Cameron, il presidente francese Francois Hollande – secondo cui "tutto indica" che Assad sia l’autore della strage -, l’australiano Kevin Rudd, il canadese Stephen Harper. La Turchia preme per "fermare Assad" con una coalizione di volenterosi. In Israele ci si prepara al peggio: "Sappiamo difenderci", assicura il premier Benyamin Netanyahu mentre vanno a ruba le maschere anti-gas. Sul terreno e’ il fronte jihadista dei ribelli di al-Nusra, affiliato ad al-Qaida, ad annunciare la rappresaglia contro il regime di Damasco minacciando di colpire i villaggi alawiti, gruppo religioso a cui appartiene il clan di Assad.
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