Quando si dice “parlare con il muro”. Così dalle mie parti ci si rivolge a chi fa finta di non capire. Ed è questo quel che accade quando si parla con uno come Pierluigi Bersani, Segretario del Pd. Nel vaso di Pandora nel quale in questo momento il governo e la coalizione tutta si trovano, la Babele scoppia anche nell’opposizione, che più volte si richiama alle parole di unità del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, ma che dietro (mica tanto) non perde tempo a scendere nelle piazze a fiancheggiare lotte sociali immotivate, auspicando governi di tutti i tipi meno che quello legittimato alla guida del Paese da elezioni democratiche – quello di Silvio Berlusconi – e improperi quasi indicibili sulla manovra. Bersani ormai viaggia sulle ali dell’entusiasmo del post voto amministrativo della scorsa primavera, e ancora oggi, nonostante l’increscioso caso che riguarda il suo ex responsabile di segreteria, Filippo Penati, inghiottito dallo scandalo tangenti a sinistra abilmente schiavato dall’intero partito con una semplice sospensione, si sente insignito perfino del potere di sciogliere il Parlamento, decretare governi tecnici, di coalizione, di responsabilità, di unità nazionale, e chi più ne ha più ne metta. Il kompagno B si sbraccia e attacca, si aggrappa, si arrabbia e in qualche caso parla anche il “dipietrese” pur di farsi sentire e cavalcare l’onda della sfiducia, della paura e del pessimismo.
Abili mosse per distrarre l’opinione pubblica dal doppiogiochismo della sinistra che la mattina sente di dover collaborare con il governo, come qualsiasi altra opposizione razionale e di buonsenso avrebbe fatto nel resto del mondo così detto civile; mentre la sera indice scioperi con i fanatici della CGIL. Strano per un partito come il Pd, nella crisi in cui versa la maggioranza, non chiedere le immediate elezioni. Forse Bersani ha paura del naturale alleato Nichi Vendola e delle primarie di coalizione nella sinistra? Oppure vuole dividere l’onere di scelte impopolari con qualche altro? Fatto sta che in circa un mese le uniche cose uscite di bocca al segretario Pd sono critiche ad una manovra finanziaria, blindata con il voto di fiducia dal Governo, dichiarata a più riprese “iniqua” nonostante gli apprezzamenti di Napolitano e dell’Europa. Per il resto, zero alternative. In una manovra da 45 miliardi il punto cardine della contro-manovra del Pd era ritassare tutti coloro che avevano usufruito dello scudo fiscale approvato nel 2010. Nobile proposta, se non fosse che il compagno Bersani sapeva fin dall’inizio che sarebbe stata bocciata come anticostituzionale, poiché nessuna norma può avere effetti retroattiviti e i termini sono già scaduti.
Diverso sarebbe riprendersi quello che già spetta al Tesoro, come già avvenuto per il condono del 2002. Rispunta poi l’ipotesi, da parte del Pd, di una patrimoniale per i più ricchi, che secondo i democratici dovrebbe portare circa 14 miliardi di euro nelle casse dello Stato con una tassazione al 20% sul 12% della popolazione, mentre l’attuale tassazione prevista in manovra vale solo per i redditi superiori ai 500mila euro, all’incirca lo 0,01% della popolazione, cioè i veri ricconi che meno di tutti hanno subito gli effetti di questa crisi economica che ha investito il mondo. Forse l’unica vera e credibile alternativa proposta dalle sinistre è quella del pagamento delle somme sopra i 500 euro con altri mezzi rispetto al contante, il che ridurrebbe nelle intenzioni dei democratici l’evasione fiscale.
Credo altresì che la norma che prevede di devolvere il 100% dell’evasione recuperata ai comuni, spingerebbe finalmente chi fin dall’inizio dovrebbe combattere questa piaga a darsi da fare. Poi il nulla. Bene invece il trasferimento delle competenze in mano alle Province direttamente alle Regioni, con relativa abolizione prevista in Costituzione.
Ed ecco che il Partito Democratico non sa nemmeno porre il suo reale contributo alla manovra, non ha le idee chiare, se perfino sulla partecipazione alla manifestazione della Cgil contro il Governo lo scorso 6 Settembre non c’è stata una comunione di intenti. Una sola è la verità: Il Pd sbava dalla voglia di andare al governo, ma non sa né con chi né con quale programma, il che condizionerà anche le alleanze per il 2013, e soprattutto l’onda democratica nata con le primarie rischia di diventare un boomerang per Bersani e la nomenklatura del Pd, se davvero avanzassero l’ipotesi di mettersi in gioco personaggi come Renzi o Vendola, questi ultimi comunque intenzionati a far valere le proprie posizioni. Buona fortuna.
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