Da anni ormai il settore oleario italiano versa in una situazione di stallo, avviluppandosi su questioni ormai storiche che vanno da una quantità di produzione nazionale non in grado di soddisfare il fabbisogno, alla mancanza di “sistema” tra i diversi attori della filiera – dalla produzione, alla trasformazione, all’imbottigliamento, alla distribuzione e vendita – alla forte pressione promozionale a cui l’extravergine è sottoposto nella grande distribuzione organizzata, che non aiuta il consumatore a capire che tipo di prodotto che sta acquistando.
Federolio, Coldiretti e Unaprol hanno deciso di lavorare insieme per dar vita ad un vera rivoluzione del settore capace di offrire al consumatore un prodotto sempre più rispondente alle sue specifiche aspettative e bisogni, le cui caratteristiche distintive siano facilmente riconoscibili e comprensibili nell’ambito dell’offerta dell’extravergine.
Secondo Francesco Tabano, Presidente di Federolio “Il primo intervento riguarda una reale segmentazione del prodotto, che all’interno della categoria extravergine presenta oli con caratteristiche molto diverse tra loro e una conseguente forbice di prezzo che varia tra i 4 e 50 euro al litro o più. Per aiutare il consumatore a scegliere il prodotto più adatto alle sue esigenze, al suo gusto e alla sua capacità di spesa dovrà arrivare sul mercato un olio certificato, con una tracciabilità assicurata di tutta la filiera e caratteristiche organolettiche e chimico fisiche ben individuate. Un olio dalla cui etichetta il consumatore evinca in maniera chiara la “promessa” del prodotto stesso”.
“Attraverso la stretta collaborazione con le due realtà maggiormente rappresentative del mondo agricolo italiano – Coldiretti e Unaprol – Federolio intende battersi per un rilancio quali-quantitativo della produzione nazionale, sulla base di una visione comune fondata su pilastri quali: rilancio dell’olivicoltura italiana; valorizzazione del prodotto nazionale, come tale certo ma anche come componente di oli extravergini comunque inquadrabili in una tradizione di “saper fare” tipica delle imprese confezionatrici italiane ancora gestite dalle famiglie che le hanno fondate, che oggi hanno necessità di utilizzare oli di varie origini, anche a fronte dell’oggettiva mancanza di prodotto italiano in grado di coprire il fabbisogno interno e necessario all’export; necessità di una maggiore trasparenza e informazione verso i consumatori, da costruire nell’ambito di un rapporto nuovo con le catene G.D.O., i cui rappresentati debbono sedere allo stesso tavolo in cui avviene il confronto tra Federolio e Coldiretti-Unaprol, essendo oggi l’extravergine cruciale nelle politiche distributive e la Federazione profondamente convinta della necessità di sottrarre questo prodotto al ruolo di “traffic builder” e all’eccesso di campagne promozionali”.
È questo il messaggio lanciato oggi a Roma dal Presidente Tabano, in occasione della convention promossa da Federolio “Filo d’olio – segmentare per crescere. Nuove prospettive di consumo e di offerta”, a cui hanno partecipato tra gli altri: Roberto Moncalvo (Presidente Coldiretti), David Granieri (Presidente UNAPROL), Giuseppe Blasi, (Capo Dipartimento MiPAAF), Mauro Meloni (Direttore Consorzio CEQ) e rappresentanti della GDO.
Incremento della produzione nazionale di extravergine, attraverso la razionalizzazione della coltivazione degli oliveti tradizionali, il rinnovamento degli impianti e l’introduzione di nuovi sistemi colturali capaci di conciliare sostenibilità ambientale ed economica; iniziative di valorizzazione del Made in Italy e più in generale di classi merceologiche di qualità superiore certificate dell’extravergine, sostegno all’aggregazione e organizzazione economica degli operatori della filiera: questi alcuni dei temi sui quali è ruotato il dibattito.
Ulteriore spunto di riflessione sono i risultati di una ricerca Doxa commissionata da Federolio per approfondire il rapporto tra gli italiani e l’olio d’oliva, presentati in occasione della convention.
L’olio extravergine d’oliva è risultato di gran lunga il più utilizzato (85% del campione), sia perché è l’olio migliore da utilizzare (36%) e perché un olio di qualità (27%) ma anche perché fa bene alla salute (18%). L’indagine ha mostrato anche una variabilità nel costo per l’acquisto con il 39% degli italiani che mediamente spende meno di 6 euro al litro, il 48% che spende da 6 a 10 euro ed il restante 13% che va oltre i 10 euro.
L’acquisto avviene presso la grande distribuzione per quasi la metà del campione (56%) con un prezzo medio di 6,2€ al litro ed una frequenza d’acquisto inferiore al mese e per il 33% direttamente nel luogo di produzione con un prezzo medio che raggiunge gli 8,4€/l ed acquisti che avvengono un paio di volte l’anno (32%) e una volta l’anno (26%).
Nella scelta dell’olio tra le caratteristiche prese in considerazione c’è l’origine e la provenienza italiana delle olive (52%), il rapporto qualità prezzo (39%) ma anche la trasparenza di tutte le fasi produttive (31%) ed una filiera produttiva certificata (23%). Decisamente forte il legame con la produzione gestita da famiglie storiche che è rilevante per un italiano su 6. La motivazione è legata all’esperienza e alla qualità che i marchi legati alle famiglie storiche sono capaci di esprimere oltre che la capacità di valorizzare il Made in Italy.
Nel portare il proprio contributo al dibattito, il Consorzio CEQ – Consorzio Extra Vergine di Qualità ricorda come “Garantire e promuovere un extra vergine italiano di fascia alta è l’ambizione del Consorzio Ceq da molti anni. Un progetto che oggi si arricchisce anche del prezioso supporto di Federolio, convinti ormai che, come paese produttore tradizionale, abbiamo l’interesse di scrivere pagine nuove sull’extravergine, per riaffermare una leadership anche sul piano culturale, che faccia leva possibilmente su un’innovazione radicale. La costruzione del nuovo concept di extravergine italiano di alta qualità è l’unico obiettivo che il Consorzio CEQ intende perseguire nei prossimi anni e per il quale ha messo a punto un suo marchio di Garanzia. Si tratta di un’operazione dove ciascun operatore avrà una parte del merito e delle responsabilità, dal produttore allo stesso distributore e ristoratore, perché la sfida è quella di portare in tavola un extra vergine ad alto valore nutrizionale, con un patrimonio di profumi e di fragranze integre anche a dodici mesi dal suo confezionamento”.
L’Italia gode ancora di un forte prestigio internazionale sulla qualità del suo extravergine, che è oggi in calo per le tristi vicende produttive interne e per la crescita inarrestabile, qualitativa e quantitativa, del nostro principale concorrente, la Spagna. La soluzione passa attraverso una strategia a doppio pedale, dove nel pieno rispetto della trasparenza e della chiarezza, trovino spazio due tipologie di extravergini, uno italiano di alta qualità, nuovo nei valori e nelle modalità di distribuzione e consumo, in grado di rafforzare il primato italiano e una selezione più ampia di blend costruiti intorno ad un olio e a una reputazione di uno standard italiano, in attesa dell’auspicata crescita della produzione interna.
Uno sguardo al settore
Le aziende olivicole in Italia
In Italia si stima che siano circa 825mila le aziende olivicole con un patrimonio di oltre 350 cultivar differenti, una ricchezza e varietà che non ha uguali al mondo. Purtroppo per le caratteristiche delle aziende (dimensioni troppo piccole o specializzazione olivicola medico bassa) solo il 37% risulta essere competitivo sul mercato.
La produzione italiana di olio d’oliva e la necessità di ricorrere all’import
Il 2017 è stato caratterizzato da una forte ripresa produttiva attestandosi sulle 432.000 tonnellate, in fortissima crescita rispetto alle 182.000 del 2016 ma senza raggiungere le 475.000 del 2015. Confermate le caratteristiche ormai distintive del nostro sistema: la produzione domestica è soggetta ad una fortissima variabilità e tendenzialmente in calo negli ultimi anni, il consumo è stabilmente superiore alla produzione sancendo la non autosufficienza del Paese e la necessità dell’import sia per far fronte alla domanda interna che per permettere l’export.
La produzione nazionale è, infatti, fortemente insufficiente a coprire il fabbisogno interno e quello necessario alle attività di export, pari complessivamente a 1 milione di tonnellate. Se infatti si considera che il consumo interno di oli da olive si attesta intorno alle 600mila tonnellate e che circa 400mila sono le tonnellate di cui le nostre aziende hanno bisogno per quell’attività di export che fa dell’Italia il primo Paese esportatore di olio da olive in confezioni, ben si comprende come sia da sempre strutturalmente indispensabile selezionare anche in mercati esteri l’olio che la produzione nazionale non è in grado di fornire.
La produzione è concentrata principalmente al sud con la Puglia che da sola contribuisce con il 51,9% al totale nazionale, seguita da Calabria (13,6%) e Sicilia (11%). Lazio e Toscana raggiungono ciascuna il 4,3%.
Gli Oli di qualità
L’Italia è prima per numero di riconoscimenti in Europa vantando 46 prodotti a denominazione, il 40% del totale. La produzione di olio certificato, non supera però il 2-3% del totale in quantità restando sotto le 10 mila tonnellate.
Il consumo mondiale
La domanda di olio d’oliva a livello globale ha smesso di crescere nel 2012 attestandosi attorno ai 3 milioni di tonnellate rappresentando quindi appena il 4-5% dei consumi mondiali di grassi lasciando quindi un enorme spazio di crescita in particolare in quei paesi dove l’abitudine al consumo è ancora assente.
Import ed Export
L’Italia è stabilmente al primo posto tra i paesi importatori (531.000 tonnellate nel 2017) seguita da Stati Uniti (318.000), Spagna (172.000) e Francia (118.000) ed al secondo posto (411.000 tonnellate nel 2017) tra i paesi esportatori dopo la Spagna (1.229.000) e prima del Portogallo (135.000).