Con il caso USEI si torna a parlare di brogli all’estero. Sai che novità. Per noi, che da sempre ci occupiamo di italiani nel mondo e siamo online tutti i santi giorni dal lontano 2006, è una minestra riscaldata. Ma visto che questo è ciò che ci mette sotto il naso la cronaca, ecco che riteniamo giusto tornare a farci sentire. Su cosa? Ma sulla necessità di riformare il voto all’estero una volta per tutte, naturalmente.
Non entriamo nel merito del caso particolare. La Giunta del Senato ha detto che Adriano Cario resta senatore. Se l’Aula di palazzo Madama deciderà diversamente, lo vedremo quando si voterà. Quando accadrà? Forse tra qualche mese. Forse mai, considerando anche che manca circa un anno alla fine della legislatura. Una legislatura che poi, in realtà, è già finita. Nei corridoi del Senato e nel Transatlantico di Montecitorio si parla solo di questo ormai: di elezioni politiche, di ricandidature, di alleanze.
Noi oltre confine invece abbiamo a che fare in questi giorni con le elezioni dei Comites. Un appuntamento elettorale che, a giudicare dal bassissimo numero di connazionali che si sono iscritti al voto, è già un fallimento. Lo scrivevamo pochi giorni fa: saranno in pochissimi a votare. Beh, ci abbiamo preso in pieno purtroppo, anche se la nostra era una facile previsione, visto che da governo e Farnesina non è stato fatto alcuno sforzo reale per informare come si deve gli italiani nel mondo e garantire così una forte partecipazione. Tant’è.
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Dicevamo del caso USEI. La decisione della Giunta è stata per qualcuno inaspettata. Non per noi. Fin dal lontano 2006 ci sono state denunce di brogli e irregolarità: non è mai successo nulla. Non accadrà mai nulla.
“Ci vuole una riforma della giustizia”, è stato scritto sui social. Ma più che una riforma della giustizia – certamente improcrastinabile, in un Paese in cui a fare il brutto e il cattivo tempo non è né la politica né la burocrazia, ma la Magistratura – è quanto mai necessaria una riforma del voto all’estero. Come ItaliaChiamaItalia la chiediamo dal 2006. La politica, a parte le chiacchiere, non ha mai fatto niente. Brogli e irregolarità ci sono da sempre, eppure nessuno ha cambiato il meccanismo di voto degli italiani nel mondo che ormai – tutti lo sanno molto bene – fa acqua da tutte le parti.
Sono anti-italiane le battaglie, annunciate anche da qualche collega della carta stampata, per eliminare il voto all’estero. Serve, invece, una battaglia comune per convincere la politica della necessità di una vera riforma del meccanismo elettorale con cui votano gli italiani residenti oltre confine. Solo se i nostri politici verranno messi spalle al muro si daranno una svegliata, altrimenti continueranno a crogiolarsi tra i loro soporiferi blabla parlamentari e i loro ricchi stipendi. In attesa di capire come garantirsi il seggio al prossimo giro. C’è chi è disposto a tutto, ma proprio a tutto, per assicurarsi un giro sulla giostra.
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Lo ribadiamo: riteniamo deleteria qualsiasi battaglia fatta per cancellare il voto degli italiani all’estero. A dirlo senza indugi sarebbe oggi anche Mirko Tremaglia, indimenticato quanto tanto amato padre del voto all’estero, primo e unico ministro degli italiani nel mondo della Storia repubblicana.
Febbraio 2010, scoppia il caso Di Girolamo. Si parla di brogli. Ve lo ricordate? Senatore eletto nella ripartizione estera Europa, candidatosi con il PdL, venne smascherato – uscirono intercettazioni e documenti che lo inchiodarono – e fu costretto alle dimissioni, prima di essere arrestato.
Ebbene, intervistato dall’AGI, Tremaglia spiegava: cancellare la legge per il voto degli italiani all’estero dopo il caso Di Girolamo sarebbe “una pazzia. Sarebbe una vergogna, un vero harakiri, un modo per rendere l’Italia meno forte nel mondo dal punto di vista politico ed economico”.
Ritrovo il vecchio Leone in queste parole e appaiono davanti a me i suoi grandi occhi celesti, trasparenti.
Sempre Tremaglia: “Certo, possono essere adottati accorgimenti per rendere effettivamente segreto il voto”, “l’importante è garantire la segretezza del voto. Ma forse è la partitocrazia a non volere questo”. Forse, caro Mirko, è proprio così.
Comunque lo stesso Tremaglia, per noi e per tantissimi altri una stella polare da seguire quando si parla di italiani all’estero, ammetteva che la legge che lui stesso aveva promosso, la sua legge, necessitava degli “accorgimenti”. Quali? Sia la politica a parlare, a proporre, a individuare soluzioni possibili.
Sia voto elettronico, sia inversione dell’opzione, sia seggi presso Consolati e Ambasciate (a Tremaglia non dispiaceva quest’ultima ipotesi), sia un sistema misto: qualcosa bisogna fare. Non possiamo stare fermi. La politica non può restare a guardare a braccia conserte.
Eccola, dunque, la battaglia che continuerà a portare avanti questo giornale: quella per un voto all’estero sicuro. A prova di brogli. Si può fare. Ma lo si vuole fare davvero?
@rickyfilosa