"Presuntuosa". "Arrogante". "Irriconoscente". "Ipocrita". "Furbetta". "Cinica" (Francesco Storace, Gianni Alemanno, Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri e altri: epiteti contro Giorgia Meloni in un articolo di Fabrizio Roncone, "La battaglia delle destre", “Corriere della Sera”, 1 maggio 2016).
Nella guerra vietnamita di Roma, città aperta alla ricerca di un sindaco, due cose mi sembrano chiare: la prima è che tutti sono contro tutti; la seconda, vedi sopra, che una fase di unità è raggiunta, dai vari capi e capetti, solo per la compattezza di attacchi mirati su Giorgia Meloni.
Ci sono poi altri due aspetti, meno chiari, che si stanno delineando e potrebbero imporsi (ma da oggi al giorno del voto chissà quanti altri colpi di scena ci saranno). Il primo è la stupefacente decisione di Silvio Berlusconi di rimuovere il suo candidato Bertolaso e di appoggiare Alfio Marchini, dopo varie esitazioni e contraddizioni. Il secondo è la correzione di rotta, al momento fluida, dello stesso Marchini. Il quale ha sempre sostenuto la propria indipendenza, ma ora è appoggiato da Berlusconi e da una parte cospicua del centrodestra.
Sia Berlusconi sia Marchini debbono adeguarsi alla realpolitik: senza voti, non si vince. Ma alcune domande sorgono spontanee. Fino a che punto Silvio si aspetta sottomissione o compiacenza, ubbidienza o quanto meno riconoscenza dal giovane leader, dopo la sua benedizione? Specularmente, Alfio cosa è disponibile a concedere, per trovare un equilibrio tra l’indispensabilità dei voti di Forza Italia (e altri ex protagonisti, redivivi) e la difesa della propria autonomia?
Concludo con una inevitabile, a mio parere, esigenza di chiarezza. Se il centrodestra non trova unità (subito o, se ci arriva, al ballottaggio) non potrà vincere. Di fronte ci sono la Raggi e Giachetti! Ma Marchini accetterebbe di svoltare verso Meloni? Dubito. E Giorgia verso Alfio? Dubito anche di più.
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