Sono stanco del cretinismo. Anche un po’ della debolezza del mio Paese, che amo come una donna che ti fa perdere la testa ma in fondo sai che non merita l’attenzione che le dai. Sono pronto a divorziare dalla nazionale. Mai dalla Nazione, valore interiore, non negoziabile. Ma dalla nazionale di calcio sì.
Se fossi presidente della Repubblica direi ai nostri ragazzi: “meglio perdere gli Europei restando in piedi tra le rovine di un mondo di plastica, che vincere in ginocchio”. Ma il nostro capo di Stato non farebbe mai un discorso del genere.
Se i nostri 11 ragazzi cederanno al ricatto della maestrina del politicamente corretto, contro il Belgio, giuro sul mio onore e la mia onestà intellettuale che spegnerò la Tv e non guarderò la partita. Ricordiamo ai nostri figli che il calcio è un gioco, e il gioco serve per rendere le nostre vite più leggere. Lo sport è maestro di vita e serve per veicolare valori giocando e divertendo.
Ma quando il gioco e lo sport vengono strumentalizzati dall’ottusità di ideologie alla moda e svuotano il significato serissimo della lotta al razzismo con carnevalate scenografiche, finte ed esteriori, che banalizzano contenuti pure serissimi, allora io non mi diverto più. È il momento di fermarsi. Di spegnere la Tv. Di dire all’amico, al parente, fosse anche a un genitore: “cosa diavolo fai? In piedi! Perché si può essere fieramente contro il razzismo come io lo sono senza piegarsi alla moda del mondo. Le mode passano, passata una ne arriva un’altra. Ma una volta persa la dignità e lo stile non c’è più scampo.
Io non voglio vincere gli Europei, voglio vincere il rispetto e mandare a quel paese la maestrina del corretto.
Esoneratevi, italiani, dall’ora di lezione del corretto.
Da ragazzino ho giocato al calcio. Per mio padre ero una promessa, per altri ero bravino per molti una mezza sega, non so chi avesse ragione ma ciò di cui sono certo è che una volta, a quindici anni, mi picchiai con mezza squadra che bullizzava un giovane calciatore, nero di pelle. Non dovete insegnarci nulla con le vostre prediche vuote.
Ho assunto senza referenze, solo sulla garanzia degli occhi, un ragazzo peruviano in casa mia. Prepara la cena a mia figlia. Mi imbarazza ogni volta che mi ringrazia commosso di avergli fatto avere i documenti per volare in Perù dalla figlia che non vede da sei anni, senza rischiare di non poter tornare in Italia per lavorare. Spesso mi chiede “perché mi hai assunto senza conoscermi?” Gli rispondo che mi sono fidato degli occhi. Quanti di quelli che si inginocchiano aprono casa propria a uno sconosciuto arrivato dal sud dell’altro emisfero?
Disgraziati ipocriti, non ci diverte più quello che fate. Quello che dite? Volete insegnare una disciplina, il rispetto per gli uomini, che non avete mai praticato. Il Dl Zan, il reato d’opinione, e ora le genuflessione all’altare del vuoto del corretto, ci stanno facendo imboccare una strada molto pericolosa. Senza ritorno. La strada del pensiero unico, madre delle dittature silenziose, dove il sottomesso non è costretto ma si sottomette bonariamente e volontariamente, infilandosi il cappio da solo.
Riccardo Corsetto