Michele Schiavone, Segretario Generale del CGIE, replica con una nota alle dichiarazioni del senatore Calderoli, che vorrebbe ridurre il numero degli eletti all’estero. Un’idea “che trova la forte contrarietà dell’intero mondo degli italiani all’estero”, sottolinea Schiavone.
La battaglia è appena cominciata. Il taglio al numero dei parlamentari è una riforma che questo governo vuole portare avanti. Come spiega Roberto Calderoli, se diminuisce il numero dei parlamentari nazionali è giusto che si riduca anche quello degli eletti oltre confine. Ma non tutti la pensano allo stesso modo.
“Il numero di 18 rappresentanti – spiega Schiavone – introdotto nella costituzione italiana, dopo decenni dalla sua promulgazione, non è il frutto di compromessi politici, tanto meno di regalie, ma esso rappresenta il riconoscimento di una parte della Comunità nazionale residente altrove, e che oggi è quantificata per difetto in cinque milioni e seicentomila cittadini. Questi numeri corrispondono alla seconda regione italiana più popolosa per numero di cittadini, che dal punto di vista materiale ed economico ha un impatto corrispondente al 10 per cento del prodotto interno dell’Italia”.
“In queste ore giunge notizia di un avanzamento della trattazione del provvedimento governativo nelle commissioni costituzionali di Camera e Senato: sarebbe opportuno conoscere nei dettagli le ragioni e i contenuti di tale proposta. Considerato che la prossima settimana si riunirà il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero chiediamo di conoscere direttamente dai presidenti delle due commissioni affari costituzionali, Giuseppe Brescia e Stefano Borghesi, gli argomenti che sono alla base di tale proposta e confrontarci liberamente per dare forma e contenuto ai valori che sono alla base di una repubblica democratica qual è quella italiana. Se le parole hanno un senso ed un peso anche gli italiani all’estero fanno parte a pieno titolo del popolo, al quale si richiama con enfasi l’attuale governo”.
“Meno di due anni fa – prosegue Schiavone – l’Italia ha deciso di rigettare un referendum, che prevedeva tra le tante cose la riduzione del numero dei parlamentari e la revisione delle prerogative del Senato della Repubblica. A quel referendum, rigettato con un’ampia maggioranza, parteciparono anche gli italiani all’estero. Il messaggio uscito dalle urne conteneva anche l’indicazione chiara e ineludibile: la rappresentanza parlamentare non può essere definita solo dai costi della politica”.
“Bene, quella decisione è servita a poco, perché a distanza di poco più di un anno ritorna il tormentone sulla riduzione dei parlamentari e, di conseguenza, del numero dei rappresentanti degli italiani all’estero. Ovviamente le ragioni addotte sono le solite, il mantra lievitato nella narrazione semplicistica: la riduzione dei costi della politica. Per la rappresentanza degli italiani all’estero nel Parlamento queste diventano pretesto per riproporre uno schema, che ha poco a che fare con il dettame costituzionale, tanto meno – conclude il Segretario Generale del CGIE – con i numeri che quantificano la rappresentanza”.