Noi, italiani all’estero, che siamo parte in causa del fenomeno migratorio, non possiamo rimanere inerti e silenziosi di fronte agli incessabili fatti di cronaca che si alimentano quotidianamente di morti, di diritti violati, di sopraffazioni, di sfruttamento e di norme e regolamenti tendenziosi che infrangono i più elementari diritti umani riconosciuti e garantiti dalla comunità internazionale degli stati e dell’Onu.
I diritti dell’uomo sono diritti inalienabili che spettano, senza distinzione alcuna, a ogni individuo in ragione della sua condizione umana. Sono universali e fondamentali, ossia essenziali alla dignità, alla sopravvivenza e allo sviluppo umani, questi sono indivisibili e interdipendenti.
NO ALL’INDIFFERENZA DAVANTI ALLE STRAGI
Non possiamo dar la stura al mainstreming del ritorno al passato cercando di fermare il vento con le mani, quando la diffusione della povertà, le diseguaglianze sociali, le calamità naturali, le guerre e gli squilibri economici diventano elementi costituenti di disumane scenografie teatrali rappresentative delle più efferate tragedie umane come quelle che si manifestano da tempo nel Mediterraneo, in Medio oriente o in centro America.
Non dobbiamo assuefarci all’indifferenza tanto meno alla paura di esprimere liberamente le nostre opinioni su temi che tendenzialmente portano a dividere la pubblica opinione, ma sui quali è opportuno discutere liberamente e anche differenziarsi, quando è opportuno, per affermare le proprie convinzioni perché il rischio del pensiero unico potrebbe intaccare anche i più progrediti e affermati regimi democratici.
La complessità dei problemi dai quali muovono le migrazioni difficilmente si lascia semplificare e scomporre in categorie: europei e africani o asiatici, ricchi e poveri, cattolici e musulmani da circoscrivere tenendole distanti e codificandone il perimetro entro il quale ognuna di esse può agire.
IL RIENTRO IN ITALIA PER LE VACANZE
Sono trascorsi solo 30 anni dall’abbattimento del muro di Berlino, simbolo del superamento delle divisioni geopolitiche che avevano tenuto in ostaggio popoli e culture, ed è allarmante l’amnesia che rischia di riportarci indietro a condizioni che sembravano superate dal riconoscimento delle libertà alle quali, almeno noi europei, ci siamo ispirati per costruire la nostra futura società.
In questi giorni estivi e di feste popolari molti nostri connazionali ritornano in vacanza in Italia. Spesso si trasferiscono in aree geografiche, in comuni spopolati ma animati, almeno in questo periodo, da sagre e programmi culturali costruiti sulle commemorazioni e feste popolari dal forte richiamo all’emigrazione italiana.
È naturale ascoltare canzoni popolari italiane, tramandate da generazione a generazione come “Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar” che portano alla mente la storia di Sacco e Vanzetti, il naufragio della nave dedicata alla principessa Mafalda abissatosi al largo della costa del Brasile, del Titanic diretto a Chicago, dell’Arandora star e delle nostre carrette del mare Bourgogne, Utopia, Lusitania, Ancona e del Piroscafo Sirio, avvenuto sugli scogli della costa spagnola di Cartagena, al quale il cantautore Francesco De Gregori ha dedicato una bellissima ballata “il fischio del vapore”. Senza dimenticare le morti sui luoghi di lavoro come ci ricorda tra pochi giorni il triste anniversario di Marcinelle.
LE CANZONI CHE RICORDANO LA NOSTRA EMIGRAZIONE
Se questi tragici ricordi assieme ai numerosi film dedicati all’emigrazione italiana proiettati nei tanti festival estivi, se i tanti motivi musicali, che parlano dell’Italia di ieri e di oggi, potessero spingerci a ragionare che liberamente e senza preconcetti sulle cause e sulle soluzioni della mobilità delle persone, potrebbero maturare le condizioni per definire altri modelli di società inclusive e immaginare una stagione di progresso civile e sociale utile a capire e a definire anche i diversi aspetti che spingono ancora milioni di italiani ad emigrare.
Il nostro Paese deve compiere uno sforzo maggiore, partendo dai lori esempi e dalle loro storie, per ritrovare il coraggio e la forza per superare le lacerazioni che rischiano di compromettere i rapporti tra le istituzioni, le persone e il mondo.
Michele Schiavone, Segretario Generale CGIE