Sedici anni di carcere. Il 31 maggio il processo di appello ha confermato la condanna per Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia, la nave da crociera naufraga su una scogliera all’Isola del Giglio. La tragedia costò la vita a trentadue persone, e causò centinaia di feriti, difficili da misurare i danni. Comunque enormi. Soprattutto quelli di natura ambientale, in seguito all’apertura di una falla larga settanta metri su una fiancata dello scafo, causa l’urto contro la scogliera.
Il processo di appello è stato celebrato presso la prima sezione di Appello del tribunale di Firenze. L’accusa è stata sostenuta da uno dei pm del tribunale di Grosseto durante il processo di primo grado. L’aggiunto Alessandro Leopizzi chiede in quella sede una condanna a ventisei anni per Schettino e l’immediata carcerazione per pericolo di fuga. Richiesta questa non accolta dal collegio. Secondo i giudici, quel 13 gennaio del 2012, alle 21:42, la manovra di avvicinamento al Giglio, a navigazione in corso, direzione Genova, fu rischiosa. “Imprudenza e negligenza” gli aggettivi presenti nella motivazioni della sentenza confermata pienamente in appello. Il processo si è concluso appunto il 31 maggio.
“Ho commesso un’imprudenza” aveva ammesso il disinvolto comandante quando il gip, in primo grado, gli contestava il passaggio vicinissimo alle coste dell’Isola del Giglio. Una scelta sciagurata, fuori programma, non prevista nel piano di navigazione, che ha portato la nave di crociera italiana a fare naufragio contro le rocce del fondale del Giglio.
Secondo i giudici, non è stato però soltanto quella la colpa di Francesco Schettino. “Lasciò la Concordia con i passeggeri ancora a bordo”. Palese l’accusa di abbandono, un colpo grave, il massimo per un qualsiasi comandante. Un gesto irresponsabile. A bordo c’erano ancora passeggeri bisognosi di soccorso sul lato sinistro della Concordia che si stava pericolosamente e tragicamente inclinandosi e il comandante “decideva lo stesso di allontanarsi”. Senza preoccuparsi minimamente di lanciare prima l’allarme e decidere l’abbandono perché “sapeva bene che con la nave inclinata non sarebbero scese le scialuppe di salvataggio”.
I giudici non hanno tenuto conto delle accuse che Schettino ha mosso al timoniere. Hanno sostenuto la difesa di Francesco Schettino gli avvocati Donato Laino e Salvatore Senese. Punto di partenza del ricorso di appello “serve una riflessione approfondita, la vicenda fu molto complessa”. I patroni del comandante hanno puntato “sull’incidente organizzativo”. E accusato il pm, “la sua indagine fu superficiale e poco veritiera”. Le tesi della difesa sono state rigettate in blocco. Respinta anche la richiesta degli avvocati di Schettino di chiamare in causa gli ufficiali di plancia Ciro Ambrosio e Silvia Caronica.
I giudici di appello hanno fornito le motivazioni sulla conferma della condanna. “Il timoniere indonesiano Jacob Rusli Bin non comprendeva l’inglese e la circostanza doveva essere nota al comandante”. E non hanno preso in considerazione le accuse di Schettino al timoniere, che non comprese l’ultimo ordine sulla rotta in lingua inglese. Laddove la lingua ufficiale a bordo era l’italiano. Schettino, rilevano i giudici, “si avventurava in una manovra rischiosa senza procedere alla sostituzione del timoniere indonesiano”.
In base a queste precise considerazioni, sulla scorta del processo di primo grado, i giudici hanno così respinto uno dei motivi di ricorso della difesa di Francesco Schettino. “L’eventuale errore del Rusli non può aver avuto un ruolo nell’urto”. Il comandante della Costa Concordia aveva tirato in ballo la presunta negligenza del secondo ufficiale Bosio. Non poteva incolparlo di “avergli passato la patata bollente”. Elementi convergenti inducono i giudici a ritenere che Schettino “non era affatto ignaro della rotta e della posizione della nave quando assumeva il comando della manovra”. Costa Concordia, a quel punto, era già troppo vicina agli scogli che, oltretutto, “lui vedeva direttamente con gli occhi, senza tenere in considerazione i dati strumentali”.
La difesa ha preannunciato il ricorso in Cassazione. L’ultima carta a sua disposizione. Dopo di che, la condanna di Schettino a sedici anni sarà definitiva e pienamente esecutiva. Mettendo così fine ad una tragica vicenda di morti e feriti e di una nave da crociera, la Costa Concordia, il cui scafo oggi effettuerà il viaggio terminale all’officina riparazioni del porto di Genova per essere smontato. Sparirà anch’esso, come già le oltre 66mila tonnellate che costituivano il carico della nave con i suoi arredi, le sue vettovaglie e le apparecchiature. Resteranno il ricordo terribile di quella notte di tragedia sulla scogliera dell’Isola del Giglio.
Centotrentadue persone, turisti in crociera, a bordo per divertirsi girando per mare e per porti, non sono tornate più alle loro case e ai loro affetti. Avevano pagato un cifra alla compagnia di navigazione Costa Crociera per andare a morire. In virtù “dell’imprudenza e della negligenza” del comandante della nave. I giudici hanno individuato in Francesco Schettino l’unico colpevole e lo hanno condannato, ora anche in appello.
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