Capitan naufragio. Quello di Costa Concordia all’Isola del Giglio, gennaio di quest’anno: trentadue morti, due corpi non ancora ritrovati. Il comandante Schettino non avrebbe raccontato la verità. Avrebbe chiamato prima la sua società, poi la Capitaneria. Inefficienze e leggerezze di capitan naufragio sono riassumibile in dieci punti. A questa conclusione è pervenuto il collegio dei periti (Cavo Dragone, Carpinteri, Della Messa, Maestro) nominati dal gip Montesarchio. Punto numero due, gli ordini di Schettino non furono capiti dal timoniere straniero. Jacob Ruschi, indonesiano di Giacarta, 49 anni. Capitolo terzo delle risoluzioni indicate dai periti: Schettino fornì consapevolmente false informazioni sulla situazione di pericolo.
Il rapporto dei periti è impietoso con il comandante di Costa Crociera, finita dopo l’urto contro la scogliera delle Scole, all’Isola del Giglio. Solo colpe, nessuna attenuante. Le comunicazioni di Schettino sarebbero avvenute con colpevole ritardo; l’abbandono della nave con la presenza a bordo di passeggeri e membri dell’equipaggio. Il punto sesto del rapporto investe soprattutto Costa Crociera: non si è messa tempestivamente a disposizione delle autorità competenti. Le accuse più pesanti che vengono rivolte a Schettino sono presenti in maniera lampante nei punti dal sette al dieci. L’azzardo, le avarie della nave alla partenza dal porto di Civitavecchia, non segnalate; la presenza in plancia di estranei e l’uso disturbatorio dei telefonini; il mancato uso della carta di navigazione numero 119, scala 1.200.000, per evitare pericoli in caso di navigazione sottocosta.
I periti hanno ricostruito con rigorosa scansione i tragici accadimenti di quella notte all’Isola del Giglio. Cinquanta domande formulate nell’ambito dell’incidente probatorio del 3 marzo scorso. I risultati saranno discussi oggi, davanti ai nove indagati. Le risultanze dei periti affermano innanzitutto questo: il personale a bordo non era preparato. Ma come andarono le cose in quella buia notte di leggerezze e omissioni? Il maitre Antonello Tiepoli chiede di fare l’inchino. Schettino accetta. “Andiamo sotto il Giglio”, dice al secondo ufficiale Simone Canessa. Laddove avrebbe dovuto rifiutare perché sprovvisto di “carte nautiche idonee per la navigazione sotto costa. Arriva il comando di procedere a velocità 15,5 nodi. Tragica cronaca e minuziosi studi forniscono l’attendibile ricostruzione della paura di oltre quattromila persone e la fine di trentadue passeggeri. Sei miglia alla costa, alle 21,24. “Siamo di traverso al Giglio”. Schettino dà ordini senza assumere il comando, fino alle 21,39. Caressa comunica: “Abbiamo superato il limite di accosto”. La rotta è impostata col pilota automatico, l’ufficiale di turno è Ciro Ambrosio. “Il comandante vuole arrivare sotto all’isola alle dieci meno un quarto”. Ordina il rallentamento quando la nave è di traverso al Giglio e aspetta Schettino. Il comandante arriva alle 21,34. Quindici minuti dopo essere stato contattato. Intanto, sono state percorse altre quattro miglia. Ambrosio supera il limite di accosto, andando così contro le consegne dell’ufficiale di guardia. Ma non è questa, affermano i periti nella relazione che inchioda Schettino e Costa Crociere, la causa della collisione. La nave potrebbe ancora accostare in sicurezza e tornare sulla rotta per Savona. Come pianificato dall’ufficiale Caressa. Il timoniere Jacob Rushi combina però una serie di pasticci. Problemi di lingua, d’udito e quant’altro. Capisce 315 quando il comandante Schettino ordina 325 gradi rotta. Si corregge in seguito all’intervento di Ambrosio. Sbaglia di nuovo quando il comandante chiede 350: capisce 340, con la nave ormai a 0,25 miglia, quattrocento metri, dalla Scola. “Altrimenti andiamo sugli scogli”, dice Schettino al timoniere, in inglese. La tragedia è ad un sospiro.
Alle 21,44 la nave è a 160 metri dalla scogliera, 0.09 miglia. Secondo i periti, solo qui il comandante di Costa Concordia capisce che c’è lo scoglio. E ordina 10/20 gradi, barra a dritta. Cambia subito idea, barra al centro poi a sinistra, nell’intento d’interrompere l’accostamento. Troppo tardi: l’inerzia porta la nave all’impatto contro lo scoglio. Il timoniere commette altri errori, evidentemente è nel pallone. L’impatto avviene alle 21,45 e 07. Cinque minuti e cinquanta secondi dopo che Schettino ha preso il comando. “Madonna, ch’aggio cumbinato”. Il comandante ordina la chiusura delle porte stagne di poppa: vuole evitare che si verfichino esplosioni e incendi. L’acqua è già nei compartimenti. La perizia punta il dito sul comportamento poco lineare di Schettino. Il comandante contatta il Fleet Crisis Coordination, Ferrarini, e non la Capitaneria, informata a distanza di minuti. La Capitaneria allerta i soccorsi, atto che sarebbe spettato invece a Schettino. Il comandante, poi, omette di riferire della falla sul fianco della nave; si limita a dichiarare solo il black-out a bordo. Il fischio dell’emergenza è avvertibile alle 22,23. Se ne occupa Bosio, laddove avrebbe dovuto provvedere Schettino. Gli esiti della perizia tolgono la maschera e i veli che hanno a lungo coperto comportamenti, imperizia e leggerezze avvenute a bordo di Costa Concordia, quella notte buia di terrore e di morte. La nave giace tuttora affondata su tre quarti sulla scogliera delle Scole; viene finalmente a galla la verità. Individuate le colpe, restiamo in attesa del processo e della rimozione del relitto dal Giglio.
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