Non solo Claudio Scajola: potrebbero esserci altri esponenti di alto livello di Forza Italia coinvolti nell’inchiesta della procura di Reggio Calabria che ha portato all’arresto dell’ex ministro, colpevole secondo i pm di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena. Uno scenario ancora tutto da dimostrare ma sul quale i magistrati reggini sono convinti di avere elementi "interessanti" che meritano di essere approfonditi.
Dopo aver concluso la prima fase dell’indagine con gli arresti di giovedi’ scorso, investigatori ed inquirenti hanno cominciato a ricostruire la rete di legami tra Amedeo Matacena e altri membri del partito fondato da Silvio Berlusconi. Perche’ l’ipotesi investigativa e’ che la rete di cui avrebbe fatto parte lo stesso Scajola – tra l’altro scaricato dal Cavaliere: "ha sbagliato, da tempo non partecipava alla vita del partito" -, potesse godere di ulteriori appoggi da parte di altri esponenti forzisti. Appoggi che non miravano certo ad agevolare la fuga di Matacena bensi’ a favorire quel contesto imprenditoriale ed economico che secondo i magistrati e’ legato a sua volta alla ‘Ndrangheta.
Nell’ordinanza di custodia cautelare, tra l’altro, vi sono diversi omissis che potrebbero celare nomi e indizi su questi rapporti. E sono proprio gli omissis il punto centrale dell’interrogatorio di Claudio Scajola che sara’ sentito domani dai sostituti Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio nel carcere di Regina Coeli, a Roma: dietro a quei ‘vuoti’ nell’ordinanza si celerebbero sia gli elementi sui quali i magistrati basano il loro convincimento dell’appartenenza di Scajola ad una associazione segreta collegata alla ‘Ndrangheta, sia i possibili soggetti di Forza Italia con cui era in rapporti Matacena.
Ma all’ex ministro i pm chiederanno anche conto del ruolo svolto per favorire la latitanza dell’imprenditore, partendo da quella lettera che viene attribuita all’ex presidente del Libano Amin Gemayel e del promemoria scritto proprio da Scajola nel quale sarebbero indicate una serie di cose da fare per agevolare il trasferimento da Dubai a Beirut. Tutti documenti, assieme a diverse agende, trovati nello studio di Roma e in quello della villa a Imperia.
Ci vorra’ invece ancora del tempo per l’interrogatorio di Chiara Rizzo: il rientro in Italia della moglie di Matacena e’ slittato alla settimana prossima in quanto le autorita’ francesi non hanno ancora deciso la data della consegna. E il rientro potrebbe coincidere con la trasferta in Liguria dei magistrati calabresi, prevista anche questa per la prossima settimana. A Genova Lombardo, Curcio e il procuratore Federico Cafiero De Raho dovranno iniziare l’analisi dei documenti sequestrati negli archivi dell’ex ministro e dell’imprenditore, che non verranno trasferiti in Calabria: vista l’imponenza e la delicatezza della documentazione acquisita si e’ deciso di visionare direttamente in Liguria i faldoni.
Liguria che e’ al centro di un altro accertamento da parte degli investigatori della Dia e che riguarda uno yacht di 40 metri ormeggiato a
Porto Venere sul quale Matacena organizzava incontri ad alto livello. L’imbarcazione di lusso e’ di proprieta’ di una societa’ di leasing sulla quale la Dda vuole fare chiarezza. Per organizzare gli incontri Matacena si sentiva spesso con Bruno Mafrici, consulente calabrese con studio in via Durini a Milano e gia’ indagato in un altro troncone dell’inchiesta, quello che nel 2012 coinvolse anche l’ex tesoriere della Lega nord Francesco Belsito, entrambi ritenuti responsabili dalla Dda reggina di riciclaggio aggravato dall’avere agevolato la cosca di ‘ndrangheta dei De Stefano.
Nelle telefonate, che poi hanno dato il la al filone che ha portato all’arresto di Scajola, Matacena e Mafrici parlano e organizzano appuntamenti. Incontri nel lusso di un quaranta metri che pero’ non nasconderebbero solo un giro di gossip ma riunioni tra esponenti dell’alta finanza, dell’economia e della politica. Anche perche’ Mafrici, per i pm, e’ l’uomo che, assieme ad altri soggetti, ha messo in piedi una serie di "operazioni di consulenza finanziaria e commerciale" attraverso il suo studio con l’obiettivo di "agevolare operazioni di riciclaggio o reimpiego di capitali di provenienza delittuosa".
Gestire tali operazioni avrebbe consentito a Mafrici e agli altri di diventare "il terminale di un complesso sistema criminale, in parte di natura occulta", che tra gli altri compiti, avrebbe avuto quello di "acquisire e gestire informazioni riservate, che venivano fornite da numerosi soggetti collegati anche ad apparati istituzionali e canalizzate a favore degli altri componenti" dell’organizzazione.
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