Ce l’abbiamo fatta, dunque, l’ambasciata d’Italia a Santo Domingo presto riaprirà. E non poteva essere altrimenti di fronte alle pressioni sempre più insistenti; la burocrazia ministeriale ha continuato ad opporsi fino alla fine, supportata da qualche politico poco abituato ad ascoltare gli elettori e convinto che sull’ambasciata non ci sarebbe stata marcia indietro. Il sottosegretario agli Esteri Mario Giro, intervistato dal sottoscritto, disse che gli italiani della Repubblica Domenicana avrebbero dovuto mettersi l’anima in pace, perché il caso dell’ambasciata italiana era chiuso. Beh, si sbagliava e di grosso.
Oggi celebriamo la notizia della riapertura, aspettando il momento in cui le porte della sede diplomatica tricolore riapriranno davvero. Nel frattempo qualche interrogativo ci rimbalza in testa. Quanto è costato chiudere l’ambasciata e quanto costerà riaprirla? Quanto sono costati questi due anni d’inferno ai connazionali, in termini economici e di tempo? E quanto sono costati all’Italia?
I costi dell’operazione chiusura-riapertura comportano certamente un calcolo molto complesso che produce sicuramente un grosso passivo per lo Stato, se si considera che si dovrà adesso ricostituire tutto l’organico del personale e rinnovare tutto l’arredamento e le attrezzature informatiche dismesse. Si dovranno poi ripristinare le linee telefoniche, i collegamenti telematici e le comunicazioni protette con Roma con l’intervento di tecnici specializzati, stipulare nuovi contratti di elettricità, acqua, telefono, manutenzione e giardinaggio. Gli immobili intanto cadono a pezzi e richiederanno una ingente spesa per essere restaurati e resi di nuovo agibili.
Bisognerà poi impacchettare e riportare a casa, con un paio di containers da 40 piedi, le quarantamila pratiche amministrative (fascicoli consolari, pratiche di visto e faldoni di amministrazione contabile) che avevano costretto Panama ad affittare una sede più grande di quella precedente, per sistemare, tra l’altro, le sette persone in più che il Ministero ha dovuto assumere o inviare da Roma per far fronte alle nuove esigenze e si dovrà procedere all’assunzione di nuovo personale a contratto, che affiancherà quello proveniente da Roma o da altre sedi.
Questa situazione ha provocato, come sappiamo, la paralisi del settore consolare, che ha prodotto tempi biblici per il disbrigo delle pratiche consolari, per il rilascio o il rinnovo dei passaporti o per il rilascio dei visti, comportando comunque per gli utenti un costo economico in termini di tempo e di disagio sociale che solo un economista esperto potrebbe tramutare in cifre.
Non è facile dare un valore economico a questa sciagurata operazione, ma essa è sicuramente espressione della disorganizzazione politico-amministrativa di questo sistema, sempre più disorientato nelle scelte e nelle decisioni, salvo poi ricredersi ed ammettere gli errori, come in questo caso.
Di più al momento non possiamo dirvi sul piano dei costi, ma continueremo ad approfondire. Certo è che gli aneddoti che si sono succeduti in questo periodo di chiusura sono tanti, a volte gustosi, a volte drammatici. In un prossimo futuro torneremo sul tema e siamo convinti che potremo essere molto più incisivi, ma fin d’ora è chiaro a tutti che questo scherzetto è costato molto caro, sia all’Italia che ai connazionali residenti nell’isola caraibica, oltre che ai tanti domenicani che hanno un rapporto stretto con il BelPaese.
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