Sta andando in scena la lunga kermesse ex canora del Festival di Sanremo di cui si parla per mesi prima, dopo e durante, quasi fosse una priorità nazionale. Sul palco, da anni, è diventato soprattutto il festival del trasgressivo, dove tutto diventa un “caso” pur di fare “audience”, ma senza considerare che ”audience” non significa gradimento.
Questo festival-baraccone della TV pubblica per me è diventato un autentico incubo, non solo in sé (cerco di cambiare canale), ma perché viene commentato ovunque in una logica per cui le poche canzoni decenti sono sommerse tra comparsate di ogni tipo e dove bisogna esagerare su tutto pur di “apparire” e quindi “fare notizia”.
Cosa c’entra con il festival del canto italiano scimmiottare il battesimo, dover ascoltare i pipponi sul razzismo, la cannabis, i generi sessuali, ammirando gli abbigliamenti più trasgressivi spesso di cattivo gusto? Nulla. Ma – come ogni anno – Sanremo è diventato il sottile filo politico di quella cultura sinistroide e benpensante “made PD” che in RAI controlla tutto e si autoalimenta a nostre spese.
Come nella novella del pifferaio magico che si tirava dietro i topolini, di questa “cultura” ne siamo così corrosi che spesso non la riconosciamo neppure più (come non riconosciamo più la verità o il buonsenso) e ci si va dietro per inerzia, acquiescenza, moda, tranquillità, interesse.
Vale per i media e i giornalisti che – se la stroncassero – verrebbero emarginati, quindi fanno finta di applaudire.
Tutto ciò premesso, questa schifezza personalmente non mi va e quindi a voce alta e chiara, senza tentennamenti dichiaro: queste trasmissioni RAI che mi obbligano per di più a pagare mi fanno schifo. Chiaro il concetto? Se cominciassimo a sostenerlo in molti forse (ma comunque difficilmente) riusciremmo a cambiare qualcosa.