Chiedo scusa, così è a mio modesto parere, e così dico, anche a costo di risultare voce spuria e nota stonata, rispetto al coro universale d’irriducibili romantici, festaioli e gaudenti senza età e confini. E però, ardisco pensare che si trovi con me d’accordo lo stesso Valentino protettore di Terni, che ci si ostina a festeggiare in senso e con spirito meramente laico, alla stregua di una delle ricorrenze più solenni dell’anno. Quando, poi, fra le righe, nei gesti e nei fatti, c’è tutto, meno che un solo barlume di fede religiosa e devozione.
A farla da padrone, in seno al rito, ovviamente la marea, anzi un autentico maremoto di consumi, feste, intrattenimenti, serate speciali, regali, dai più semplici come un fiore o una rosa, a quelli d’elite e costosi. Non si capisce, ad ogni modo, per quale ragione si debba parlare di “giorno degli innamorati”, laddove, a onor del vero, coloro che si amano, provano reciproca attrazione, non sanno vivere l’uno senza l’altro e viceversa, sono soliti celebrare normalmente, sia pure fra naturali alti e bassi, il loro stare insieme con piacere e trasporto e l’incomparabile felicità del rapporto, in ogni indistinta scansione del calendario.
Purtroppo, si avverte la sensazione che, attualmente, in seno alla società diffusa e prevalente, non esiste crisi che tenga, l’irrinunciabilità ai “veglioni” e alle “sagre” del godimento e dello “spendi e spandi”, sovente indirizzato in parte al superfluo, si pone come un dogma.
Ho sentito parlare di consumi finalizzati e dedicati dell’ordine di circa 1500 milioni, risorse inequivocabilmente ingenti, pari, addirittura, a quelle con cui la popolazione di due o tre Stati africani poveri messi insieme deve riuscire a campare un intero anno. Insomma, altro che San Valentino, sull’altare delle abitudini e delle coscienze sembrano venerarsi miti, idoli e andazzi, di assai diverso genere.
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