La partita per il nuovo Esecutivo la giocano due giovani politici: uno con una media esperienza, mai stato al Governo, segretario del suo partito da pochi anni, europarlamentare e prima consigliere comunale.
L’altro solo cinque anni di Parlamento, un seggio ottenuto in una lista bloccata cui entrò attraverso un pugno di click sul web alle Politiche del 2013. E l’inesperienza gioca brutti scherzi, non vi è dubbio, perchè proprio in queste ore vengono consumati passaggi politici ed istituzionali azzardati, specie nel dialogo con il Quirinale, dei due capi politici dei due partiti contraenti il non meglio definito “contratto di Governo del cambiamento”.
Di Maio e Salvini hanno messo insieme le forze, ufficializzando l’altro ieri al Quirinale di essere disposti “a partire”. Per far questo, il legista ha di fatto rotto l’alleanza del Centrodestra – maggioritaria nel Paese secondo i risultati dello scorso 4 marzo e secondo tutti i sondaggi odierni, oltre che in Parlamento – per rappresentare circa la metà dei voti ottenuti dai Cinquestelle, ovvero il 32%, in una compagine di Governo.
Chiaro è che i pentastellati faranno valere la propria forza contrattuale durante ogni tavolo di trattativa, prima di tutto sui nomi da portare all’attenzione del Capo dello Stato. E se la poltrona da presidente del Consiglio dovrebbe essere occupata dal professore Giuseppe Conte (il tecnico del M5S), ruoli chiave nell’Esecutivo dovrebbero essere affidati alla Lega. Si parla di Giancarlo Giorgetti all’Economia e dello stesso Matteo Salvini agli Interni.
Ma arrivati a questo punto, con una compagine così fatta e con l’imbuto del Quirinale che stringe sempre di più, un Governo politico che si rispetti non potrebbe non essere guidato dall’esponente politico che guida il partito maggiore tra i due sottoscrittori del “contratto”, vale a dire lo stesso Luigi Di Maio, sia pure venga giudicato da tutti i maggiori osservatori come poco più che un novellino.
Stesso trattamento è stato riservato dalla stampa estera al professor Giuseppe Conte, indicato dai leghisti e dai pentastellati come designato per Palazzo Chigi. Unico neo: la posizione del segretario della Lega.
Come ha potuto, Salvini, lasciarsi sganciare gradualmente e subdolamente da Luigi Di Maio e abbandonare così la prospettiva di essere nei fatti il nuovo leader dell’area di Centrodestra in Italia?
Come ha potuto, Salvini, cambiare posizione e parlare solo una settimana fa di Centrodestra come “prerequisito” per qualsiasi trattativa con chiunque, per arrivare a dire oggi “Non c’è più destra e sinistra, ma Popolo contro élite“?
Come ha fatto, Salvini, a mettere potenzialmente in pericolo i Governi delle Regioni al momento governate con i partner del Centrodestra, vale a dire Forza Italia e Fratelli d’Italia?
Sono tutti interrogativi seri a cui forse non giungeranno mai risposte altrettanto serie.
Ignorate dai due leader anche le prerogative costituzionalmente garantite al presidente della Repubblica: spetta infatti al capo dello Stato nominare il presidente del Consiglio, dopo approfondite valutazioni. E la lista dei ministri non viene vidimata al buio, ma è frutto di scelte largamente approfondite tra presidente del Consiglio incaricato e lo stesso capo dello Stato.
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Salvini e Di Maio si sono invece presentati al Quirinale con il nome del capo del Governo già individuato, una lista di ministri già definita con relative deleghe ed un “contratto di Governo” già stilato, con il presidente del Consiglio designato nel ruolo di “esecutore” di un programma preconfezionato dai leader delle forze politiche componenti la strana maggioranza giallo-verde.
Ed infine, il ruolo politico del capo dell’Esecutivo: secondo la Costituzione, è lui che incarna quasi fisicamente la linea politica ed istituzionale del Consiglio dei Ministri, invece nelle intenzioni di Salvini e Di Maio il professore Giuseppe Conte rappresenterebbe una specie di amministratore delegato “azzoppato” dai cani da guardia dei partiti che lo hanno indicato. Improponibile.
Certo è che il leghista neo leader, ma solo per qualche ora prima di consegnarsi ai grillini, avrebbe dovuto spingere maggiormente su un Governo del Centrodestra che formasse la sua maggioranza in Parlamento: con il 37% ottenuto nelle urne, le forze azzurre hanno ottenuto il 42% dei seggi nelle due Camere. Era nel pieno diritto del Centrodestra – ed è convinzione di molti osservatori di primo piano, anche internazionali – chiedere ed infine ottenere un pre-incarico e tentare di formare una maggioranza nell’unico luogo deputato, vale a dire il Parlamento.
Avrebbe dovuto essere maggiormente incisivo, Salvini, e mobilitare la piazza se fosse stato necessario, per esercitare la giusta pressione. E a nessuno venga in mente di dire che il Capo dello Stato non avrebbe potuto consentire un passaggio parlamentare senza una maggioranza precostituita: Mattarella stava già preparando il cosiddetto “Governo neutrale” sostenuto sulla carta solo dal Pd, quindi con numeri risicatissimi e ben al di sotto della maggioranza necessaria. In quel caso nessuno al Colle si pose alcun problema. Ma i tentativi di delegittimazione nei confronti di Berlusconi, e gli ammiccamenti a Di Maio, furono palesi già durante il tam tam per l’elezione dei presidenti delle due Camere. Salvini, non dovevi.