“Giornalisti maledetti! In galera, in galera”. E’ stata una sorta di voglia di vendetta della categoria politica contro quella dell’informazione a portare all’approvazione, alcuni anni fa, in sede di Commissione Giustizia della Camera della norma che prevede fino a tre anni di carcere per il semplice reato di diffamazione a livello giornalistico. Un voto avvenuto sulla base della proposta di un parlamentare di Forza Italia, e dunque si suppone opera soprattutto della maggioranza di centro-destra… Il relatore del provvedimento, Gianfranco Anedda di Alleanza Nazionale, pero’, rassegno’ le proprie dimissioni dall’incarico per protesta contro il provvedimento motivando la propria decisione affermando che “Poiché gli emendamenti accolti hanno letteralmente stravolto il testo presentato dalla maggioranza aumentando notevolmente le pene a carico dei giornalisti, ho ritenuto di non poter più essere relatore di un testo del genere”.
Da allora i tribunali continuano ad orientarsi con la bussola della norma che prevede fino a tre anni di carcere per il semplice reato di diffamazione a livello giornalistico. Con i suoi dogmi della verità della notizia, della continenza formale delle espressioni utilizzate e dell’interesse pubblico. Tuttavia l’interpretazione di questi pacifici principi prelude a decisioni affidate alla sensibilità del singolo giudice. Che quasi mai pero’, come prevede la norma, fa indagini per risalire al vero autore del commento… e allora si colpisce il direttore.
Quanti e quanti direttori sono stati condannati per “omesso controllo”. Condannati col carcere, nel silenzio generale e molto spesso con qualche battutina ironica dei personaggi del centrodestra, ma anche di altri partiti. Perche’ la verita’ e’ che quando il giornalista scopre le magagne ( come sta accadendo negli ultimi tempi) e le ruberie di alcuni politici ai danni della collettivita’, apriti cielo, viene fuori la violazione della privacy (Ruby-gate), le intercettazioni "abusive" ( quanti reati sono stati scoperti, anche di connubio mafia-politica), i pedinamenti definiti "irregolari" da fastidio, molto fastidio… E allora ecco la minaccia del carcere, minaccia che solerti magistrati applicano senza pensarci, tanto lo prevede la legge.
"Bene, cosi’ impara ad attaccarmi sul giornale…" esclamano allora con soddisfazione i "querelanti", involontari complici magistrati che non hanno perso molto tempo a leggersi le carte. O che non hanno approfondito le indagini per risalire ai fatti. Questa volta e’ toccato a Sallusti, il direttore del giornale principe del centrodestra, Il Giornale… ed e’ scoppiata la bagarre… Certo non dovrebbero esserci differenze tra destra, sinistra e centro quando si colpisce un giornalista che fa il proprio dovere di cronaca. Eppure, Jannuzzi docet…
Una specifica legge potrebbe aiutare a restituire certezza ai diritti e confini certi alla libertà di stampa. Per esempio, potrebbe stabilirsi che solo l’attribuzione di uno specifico e concreto fatto non vero costituisca un illecito oppure che solo l’insulto meramente gratuito – in alcun modo connesso con il ruolo pubblico del destinatario dell’espressione – costituisca diffamazione. In ogni caso, a prescindere dagli interventi del legislatore, uno spazio ineludibile resterebbe comunque affidato alla discrezionalità del singolo giudice. E in questa prospettiva sarebbe auspicabile che i Tribunali si astengano il più possibile dal valutare la correttezza formale delle espressioni utilizzate dai giornalisti, evitando di assumersi il ruolo di elaborare ipotetiche regole di buon giornalismo con, ci sia concesso, una pretesa dal vago sapore moralistico. Perche’ il punto è proprio qui: le norme sulla diffamazione e le sanzioni restrittive della libertà personale del giornalista sono retaggio di sistemi non compatibili con la democrazia, con le carte universali dei diritti umani, con la Carta dei diritti europei. Sicuramente una Corte di Giustizia internazionale competente su queste materie cancellerà questa e le altre sentenze e sanzionerà l’Italia per il danno recato, perché nel caso specifico di conferma della condanna il collega Sallusti dovrebbe intanto cominciare a scontare la pena in carcere per reato di opinione.
E’ incredibile che, dopo anni di denunce e di casi eclatanti di questo tipo, persino di intervento del Capo dello Stato che in una vicenda simile che colpì l’ex direttore Iannuzzi intervenne con l’atto di grazia, nulla sia stato fatto per cancellare queste norme liberticide dal nostro Codice. Speriamo che oggi Berlusconi e soci lo capiscano e mettano fine a questa vergogna.
Discussione su questo articolo