I Carabinieri di Roma hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 18 persone (13 custodie cautelari in carcere, 4 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria e 1 divieto di dimora nel Comune di Roma) per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti (borseggi), ricettazione e riciclaggio, con l’aggravante della transnazionalita’. L’ordinanza e’ stata emessa dal GIP del Tribunale di Roma, Massimo Di Lauro.
L’indagine denominata "APPLE", e’ partita da un’attenta analisi delle denunce di borseggio sporte presso le Stazioni Carabinieri del centro di Roma e delle centinaia di arresti in flagranza effettuati nel corso dell’anno dalle pattuglie dell’Arma in servizio all’interno della metropolitana e dei mezzi pubblici di linea per contrastare tale tipologia di reato. Dall’incrocio dei dati e’ subito balzato agli occhi l’elevato numero di furti di telefoni cellulari di ultima generazione commesso perlopiu’ in danno dei turisti in vacanza nella Capitale.
Tale dato investigativo ha consentito di indirizzare le indagini verso i canali di riciclaggio della refurtiva, fino a far emergere l’esistenza di un vero e proprio sodalizio criminale in cui borseggiatori, per la maggior parte di nazionalita’ rumena o sud americana, e ricettatori, tutti nord africani, si erano associati tra di loro al fine di gestire il giro d’affari legato all’attivita’ illegale.
Le indagini hanno consentito di accertare che gli associati avevano creato un vero e proprio "sistema d’allarme telefonico" in cui ogni borseggiatore o ricettatore a lavoro si premurava di informare tutti gli altri associati della presenza di pattuglie delle forze di polizia all’interno della metropolitana o dei mezzi pubblici indicando addirittura il reparto di provenienza ed in alcuni casi i nomi dei militari in servizio.
Tutti i borseggiatori una volta in possesso della refurtiva si portavano verso Piazzale Flaminio o in alcuni casi a Piazza Vittorio Emanuele dove i ricettatori li attendevano per recuperare i telefoni di ultima generazione, tablet, macchine fotografiche o pc portatili.
Gli investigatori sono poi riusciti a risalire ad un esperto informatico, italiano, che per conto dell’associazione si preoccupava di acquisire su internet i codici di sblocco dei telefoni che consentono di eliminare gli stessi dalle "black-list" delle compagnie telefoniche e della case di produzione, ostacolando in tal modo l’identificazione della provenienza delittuosa e garantendo la possibilita’ di rivendere la refurtiva che, in parte, veniva commercializzata a Roma (in particolare durante al mercato di "Porta Portese"), e, per il resto, veniva spedita nei paesi del Nord Africa.
Il giro d’affari generato dall’attivita’ illecita si attestava mediamente intorno ai 60mila euro mensili, considerando gli associati riuscivano a spedire all’estero circa 150 telefoni cellulari di ultima generazione, per un prezzo medio di 300-400 Euro cadauno.
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