La signora Licia, 82 anni, era stata portata al pronto soccorso dell’ospedale San Camillo di Roma, dopo aver accusato un malore. Classificata come codice verde è morta dopo 48 ore.
"Ha vissuto le sue ultime ore in modo indegno, insieme a decine di altre persone sofferenti ammassate in pronto soccorso, senza che i medici per molte ore la visitassero". Racconta al "Messaggero" Antonella Marcellini, 47 anni, figlia della signora Licia Puglielli, morta il 16 luglio alle 17,45 al San Camillo: "Non vogliamo soldi, non vogliamo nulla, vogliamo solo fare sapere come si muore negli ospedali romani. E’ l’unico modo per ricordare nostra madre".
La signora Licia ha dovuto fare i suoi bisogni per terra, riparata dalle figlie, "perché non le hanno dato neanche il catetere".
Licia Puglielli per tanti anni aveva lavorato proprio nella sanità romana, nel settore amministrativo. Da sette era su una sedia a rotelle per una neuropatia diabetica. Abitava al quartiere Portuense con il marito di 86 anni.
"La chiamavamo la carabiniera perché era molto lucida e ben organizzata – racconta la figlia – Io avevo preso l’aspettativa dal lavoro per assisterla insieme a mia sorella".
"Il 13 luglio però comincia a sentirsi male – prosegue la figlia – e non riesce più a usare le mani, soprattutto la destra. Alla notte le sue condizioni non migliorano. Ci preoccupiamo. Il diabetologo ci dice che forse la neuropatia sta arrivando alle mani. Il 14 luglio la portiamo al pronto soccorso del San Camillo. Sono le 17, la vede un medico a cui spieghiamo tutto: le sue condizioni, il problema alla mano. Lui ci risponde che anche se fosse stato un ictus ormai era tardi, non era un caso urgente. La classifica come codice verde. Insistiamo, ma lui conferma: codice verde".
Viene parcheggiata su una barella. "Ci trascorre la notte", tuona Antonella. "L’umiliazione maggiore quando ha dovuto fare la pipì – continua – riparata come si poteva. Trascorrono le ore, nessuno si occupa di lei. Io e mia sorella ci diamo il cambio. Mia madre cerca di tranquillizzarci, ci chiede di nostro padre che è a casa, si preoccupa per lui. Dorme su quella sedia, appoggiando le gambe come può su una poltrona. Ci dicono i parenti di altri pazienti: funziona così, ci sono anche codici rossi parcheggiati da due o tre giorni. Le hanno fatto solo due elettrocardiogrammi e due prelievi del sangue. Ma noi chiediamo che nelle sue condizioni le venga fatta una Tac".
Al mattino Antonella è esausta e chiede una lenzuola per la madre a una infermiera: ne nasce un battibecco e viene chiamata la vigilanza. "Ho dovuto farla mangiare appoggiando il vassoio per terra. Eppure eravamo arrivati alle 17 del giorno prima".
La signora Licia sta sempre peggio, "la parte destra è ormai completamente andata, io alle 14 mi arrabbio con una dottoressa che ha appena preso servizio. Mia madre si aggrava, la Tac viene fatta solo alle 16".
"Alle 17.30 non parla più, balbetta. Solo allora diviene codice rosso, la intubano. Trascorre la seconda notte al San Camillo, questa volta in medicina d’urgenza. Al mattino, alle 6.30, ci dicono che è in coma irreversibile", spiega ancora Antonella.
"Mia madre era arrivata al pronto soccorso il 14 luglio alle 17. Dopo 30 ore è entrata in coma e il 16 luglio, alle 17.45, è morta, per un’emorragia cerebrale. Non è giusto morire così".
La replica dell’ospedale San Camillo è affidata alle parole del direttore generale Aldo Morrone: ”Comprendo il dolore delle figlie. Purtroppo la signora aveva una condizione molto difficile, non solo per l’età: l’obesità, il diabete, la neuropatia. Appena arrivata aveva la tipica condizione del problema cardiaco, le è stato fatto l’elettrocardiogramma, anche alla luce dell’ischemia cardiaca che aveva avuto in passato. Quando è stata sottoposta alla Tac è emersa una emorragia cerebrale. E’ stata visitata dal neurochirurgo e purtroppo non era possibile operare”.
"E’ stato scelto di lasciarla su una sedia a rotelle perché aveva problemi a respirare e la lettiga non sarebbe stata la scelta migliore”, ha spiegato il direttore generale.
Non usano giri di parole, invece, i consiglieri regionali del Pd Enzo Foschi e Tonino D’Annibale che chiedono l’intervento del prefetto. "Va aperta subito un’inchiesta sulla situazione drammatica in cui versano i pronto soccorso dei grandi ospedali romani e del Lazio".
"La Polverini presidente della Regione Lazio e Commissario ad acta – aggiungono – fa finta di non conoscere il problema, la Commissione sanità regionale è una sorta di lezioso soprammobile. Il direttore generale è lasciato solo ad affrontare una situazione insostenibile e non riceve risposta alle richieste di avere risorse adeguate per non far precipitare la situazione”.
"L’anziana signora deceduta è solo una di quei 48 decessi tra i ricoverati con codice verde che si potrebbero registrare nel corso del 2011 al pronto soccorso del S. Camillo, uno dei dipartimenti d’emergenza più importanti per la capitale e per il Lazio", sostengono Foschi e D’Annibale.
"Oggi quella struttura d’avanguardia è ridotta ad un reparto di degenza e con il personale tanto ai minimi termini da non essere oggettivamente in grado di valutare con la dovuta attenzione tutti i casi. Che questo potesse accadere esattamente nelle modalità in cui è accaduto, è scritto in modo chiarissimo in un rapporto presentato dai medici dell’ospedale aderenti al sindacato Anaoo-Assomed lo scorso 14 luglio”, concludono i consiglieri regionali del Pd.
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