Roma – La minoranza non ci sta. L’arrivo dell’Italicum per la seconda lettura alla Camera sembra acuire nel Pd dissidi interni mai sopiti, con il capogruppo Roberto Speranza che cerca di farsi mediatore promuovendo un appello affinché in commissione Affari costituzionali si inseriscano quelle correzioni che alcuni esponenti dem chiedono da tempo. Nel partito si prepara una scissione? Non la pensa così Eugenio Merino, responsabile Pd nel mondo.
Il Partito Democratico sembra sempre più diviso tra minoranza e segreteria. Si sta arrivando allo strappo finale? Non sarebbe più coerente, da parte di alcuni esponenti democratici, uscire da un partito nel quale non si riconoscono più?
Non credo proprio. Che il nostro Partito si chiami “Democratico” non è un caso. Quell’aggettivo sta a indicare una chiara matrice politica che prevede nel suo Dna proprio la pluralità di posizioni, il confronto, se è il caso anche lo scontro entro determinate regole. E la democrazia prevede anche il dissenso. Quindi è fisiologico che in un partito sano e democratico vi siano posizioni diverse, congressi, primarie. A me hanno sempre fatto paura quei partiti personalistici dove un uomo solo decideva e comandava invece di discutere e governare. E quei partiti abbiamo visto che al primo problema del leader-padrone sono implosi.
L’appello di Area Riformista non è il sintomo di una debolezza di fondo del partito?
Al contrario. È il sintomo di una democrazia vera e di una discussione di merito fatta a viso aperto e in modo costruttivo, con gli strumenti democratici che la politica offre da sempre. Poi lo si può condividere o meno, ascoltare e discutere nel merito, ma non mi pare certo sintomo di debolezza del Pd.
Dal punto di vista della minoranza, però, sarebbe opportuno che Renzi cedesse su alcune richieste della minoranza sull’Italicum?
Non si tratta di “cedere” o “tener duro”. Si tratta di discutere nel merito e valutare all’interno del proprio partito, dei propri gruppi e in Parlamento. La minoranza non vuole fermare il processo di riforme avviato dal governo e dalla maggioranza né vuole mettere in discussione l’impianto complessivo. Segnala alcune forzature, alcuni rischi, alcuni punti che non convincono e propone correzioni e miglioramenti. E in questo non c’è chi vince e chi perde, non ci sono forti che devono cedere qualcosa o deboli che devono arrendersi, ci sono un partito e un Parlamento che devono discutere e trovare le migliori soluzioni possibili.
C’è chi maligna sull’atteggiamento della minoranza e suggerisce che, in realtà, alcuni parlamentari vogliano andare al voto anticipato prima dell’Italicum. È così?
Bisognerebbe chiederlo a questi parlamentari. Io sto ai fatti e al merito di ciò che si dice e si fa. Il merito è quello dei provvedimenti in discussione, delle critiche che vengono mosse, delle soluzioni che vengono prospettate. I retroscena li lascio ai retroscenisti, che tra l’altro sono una categoria di giornalisti presente solo in Italia. Bisognerebbe leggere gli articoli dei retroscenisti qualche settimana, mese o anno dopo che li hanno scritti per capire quanto valgano e quanto vere siano le ipotesi che prospettano.
Renzi dice che non alzerà le tasse, ma perfino il fedelissimo sindaco di Firenze Dario Nardella e il collega di Torino, presidente Anci, Piero Fassino hanno da ridire sui tagli agli enti locali annunciati ieri da Padoan. È un modo comodo, da parte di Renzi, per scaricare i malumori dei cittadini sugli amministratori?
Io non credo sia un “modo comodo” di Renzi per scaricare i malumori. Penso che il problema sia molto più grave e di sostanza squisitamente politica ed economica. Penso che vi sia ormai una completa resa a un modello liberista che non regge economicamente in nessun posto al mondo. Ai problemi di questo modello l’Europa non reagisce con un sistema economico armonico e un vero governo europeo, ma rimane ferma alle politiche di austerità e rigidità dei conti pubblici. In questo contesto in Italia rimaniamo schiacciati da chi, da una parte, agita l’eterno spauracchio delle tasse, “che vanno abbassate”. Dall’altra il populismo che ci racconta gli enormi sprechi della politica, dei servizi pubblici, dei ministeri e degli enti locali, quindi si continua a chiedere spendig review. Le due parole magiche che significano revisione della spesa, intesa come taglio degli sprechi. Ma se penso a quanti anni sono che si fa spending review e a quante manovre con “tagli degli sprechi” sono state fatte, mi chiedo quanti erano questi “sprechi” e quando saranno tagliati tutti. Dunque non si tratta più di stringere la cinghia, gli italiani lo hanno fatto abbastanza. Si tratta di spendere meglio, non meno.
E come si realizza tutto questo?
La verità è che manca un modello alternativo alle politiche neoliberiste e a questo modello economico di austerità. Manca una politica fatta non di tagli, ma di redistribuzione capace di mettere in discussione i capisaldi delle dottrine economiche imperanti. Fino a quando non si farà questo chiunque si troverà a governare, soprattutto con maggioranze non omogenee come questa, che sia Renzi, che sia Monti, che sia Berlusconi, si troverà schiacciato tra le regole selvagge del neo liberismo, i vincoli europei, i populismi anti tasse e le politiche dei tagli ai servizi. Il che significa incidere nella carne viva dei cittadini e rimbalzare le responsabilità tra governi ed enti locali.
La maggioranza Pd non sta rischiando nuovamente di creare un duplicato di quanto già fatto con il Porcellum quando, per approvare una legge elettorale in tempi rapidi, si produsse un testo poi bocciato dalla Corte Costituzionale?
Io credo che una legge elettorale bisogna farla, perché la situazione nella quale siamo adesso dopo l’intervento della Corte Costituzionale rappresenta il caos. E questa legge deve andare nella direzione di garantire governabilità, certezza delle maggioranze uscite dalle urne e alternanza alle elezioni. Questa legge credo vada in quella direzione e, se corretta in quegli aspetti “a rischio” e migliorata come anche la minoranza Pd chiede e come avevano indicato le commissioni parlamentari, garantirà il bene del Paese e della democrazia e persino il rafforzamento del Pd nel suo complesso.
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