Farci i conti in tasca è impresa fastidiosa. Spesso, però, necessaria per tentare d’intendere come si evolve l’economia italiana. In altri termini, quella di tutti i giorni, quella dell’uomo qualunque che, in definitiva, interessa la gente. Per avere precisi termini di raffronto, abbiamo preso in esame i prezzi di derrate merceologiche comuni. Limitando la nostra indagine tra aprile 2005 e aprile 2015. Le percentuali si riferiscono alla media nazionale; anche perché le stesse differiscono tra regione e regione.
Il pane comune è rincarato del 13%. La carne bovina del 27%. Le verdure, pure con la buona stagione, hanno registrato un incremento del 17%. Gli stipendi e le pensioni, per lo stesso periodo, hanno subito un adeguamento del 7% (al lordo d’imposta). Insomma, le retribuzioni e i trattamenti previdenziali, nella maggioranza dei casi, restano ancora inferiori al costo della vita. Se l’Esecutivo Renzi riuscirà a mantenere le sue promesse di programma, la situazione potrebbe, forse, migliorare dopo l’estate.
Oggi, con retribuzioni e pensioni, spesso, non si riesce ad arrivare alla fine del mese. Con un affitto da pagare, e senza troppe pretese, una famiglia (4 persone) avrebbe bisogno d’almeno 1500 euro mensili per tirare avanti. Di calmierare i prezzi nessuno ha avuto, comunque, la forza di proporlo. Anche se, tutto considerato, ne avrebbe avuto vantaggio anche la grande distribuzione.
Mentre l’Esecutivo continua per una linea “riformista”, gli italiani vivono di “promesse”. Riprendere la via di una libera economia, in un’Europa senza vincoli territoriali, appare affrettato. Anche perché le “stelle” del Vecchio Continente non brillano all’unisono. Il ruolo d’Italia resta da quantificare nella misura in cui si riuscirà a sanare, prima di tutto, l’economia interna. Compito difficile per tutti. Cominciando proprio da Renzi.
La Penisola s’è svenduta i pezzi migliori per evitare il collasso. Che ci sia riuscita è una tangibilità ancora tutta da verificare. Intanto, gli investimenti internazionali nel nostro Paese restano limitati per un euro ”forte” all’esterno, ma non all’interno. Nel 2002 ci siamo mossi in modo inadatto. Nessuno ci aveva imposto premura. La conversione Lira/Euro poteva essere meglio contrattata. Invece, abbiamo assentito a un “rapporto” di cambio (in pratica Euro 1= Lire 2000) che ha dimezzato, in effetti, il nostro potere d’acquisto.
La Gran Bretagna, esaminata la sua situazione socio/economica, ha mantenuto, invece, la sterlina. Con peculiarità che non sono minimizzabili. Adesso, non è verosimile tornare indietro; ma è difficile valutare la nostra situazione con la Banca Centrale (BCE). Vista anche la posizione debitoria della Grecia che non riesce a onorare il suo debito comunitario. In Europa, tanto per capirci meglio, chi decide la politica monetaria sono i Paesi con l’economia forte. Il nostro, nonostante le migliori intenzioni, continua a non essere tra questi.
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